: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.
Ottimismo aziendale
Perché i giganti del lusso hanno superato senza probllemi i mesi più duri della crisi economica
Il Foglio - 20 settembre 2011
Se è vero che in queste settimane nelle pagine economiche dei giornali le parole che spiccano sono crisi, recessione, disoccupazione, declassamento e default, è altrettanto vero che nei colonnini degli stessi giornali si possono leggere notizie sui risultati più che positivi di gruppi come Lvmh (Louis Vuitton Moët Hennessy), Ppr (che controlla tra le altre Gucci, YSL e Boucheron), Hermès e altre aziende operanti nel settore del lusso, i cui utili hanno segnato passi di crescita a doppia cifra. In questi giorni poi Luca Cordero di Montezemolo ha annunciato il record storico di vendite per la Ferrari e la scorsa settimana ha avuto luogo la seconda edizione di Expo Luxe, fiera interamente dedicata al lusso e ai beni tutt'altro che di prima necessità.
E' il classico paradosso che puntualmente si verifica nei periodi di crisi economica: tutti i consumi e i mercati frenano bruscamente, tranne i comparti dei luxury goods che crescono e prosperano - solo in Italia è stimato un +5 per cento nella propensione all'acquisto di tali beni rispetto all'anno precedente. Lo stesso è successo nelle otto grandi crisi dallo shock petrolifero degni anni Settanta ad oggi: il settore del lusso è l'ultimo ad essere stato contagiato e il primo a riprendersi.
La spiegazione più logica e immediata è sostenere che la crisi, in fondo, non tocca i ricchi, ma solo i ceti medi e bassi. Ma in realtà c'è molto di più, sia dal lato dell'offerta sia della domanda.
Le aziende del lusso, o almeno quelle da annoverare al cosiddetto “alto di gamma”, in questi anni si sono strutturate e organizzate, rifocalizzando il proprio business, puntando su ciò che sanno far bene, cercando di concentrarsi in progetti e prodotti innovativi. Insomma, affidandosi all'economia reale piuttosto che a quella finanziaria, anche se poi quest'ultima riesce a goderne dei benefici, basti vedere le ottime performance in Piazza Affari della neo quotata Salvatore Ferragamo o i risultati soddisfacenti di Prada alla borsa di Hong Kong.
Dalla parte della domanda è necessario capire che i prodotti ben fatti e di qualità inevitabilmente attraggono i consumatori privilegiati e con poteri di spesa fidelizzandoli ai luxury brand, portatrici di quei valori simbolici e intangibili che gli altri comparti hanno sempre meno.
E qui sopraggiunge la variabile psicologica. Il prodotto di lusso è, da sempre illusione di benessere, e solo Dio sa quanto ce ne è bisogno in questo periodo. In più, l'ostentazione in tempo di recessione è maggiormente evidente, specie per i nouveau riche che, mostrandosi con il nuovo macchinone, riescono ad affermare la propria ricchezza e, contemporaneamente, a comunicare il fatto di essere talmente furbi e abili da “non sentire la crisi”.
Questo è ciò che accade nei mercati dei prodotti di lusso. In quello dei servizi (viaggi, ad esempio) le cose sono ancora più sofisticate: il lusso vecchia maniera (la villa nel Chianti, il resort nell'isola sperduta, il noleggio dello yacht) costa sempre meno e i super ricchi oggi desiderano altro. Racconta al Foglio Juanita De Paola che opera nel settore con la sua società AdMaiora “ Oggi il lusso è l'aspirazione di rimanere eterni tramite proprie emanazioni. Se prima si affittava la villa di lusso con il butler in guanti, oggi insieme alla villa i clienti chiedono che i figli dei fattori e una traduttrice simultanea vadano a giocare coi propri bambini, per intrattenerli. Ad esempio, io sto formando una decina di kids concierge per accomodare i bisogni dei pargoli dai 6 ai 12 anni”. Ecco, modificare l'ambiente attorno alla persona con più potenziale economico.
Questo oggi è l'ultimo potere del lusso.