EmmeBi Attached

Gli allegati di EmmeBi Blog: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.

Tuesday, June 27, 2006

 
CONSIGLI A LAPO

Grandi cifre e impazzimenti curiosi della sfida del business tra global e local sui campi di Germania 2006

IlFOglio - 27 Giugno 2006

I numeri spesso riescono a spiegare un fenomeno meglio di mille parole. Facciamo un esempio concreto sui mondiali di calcio in Germania: quest’anno, tra le 200 nazioni collegate in mondovisione, si stima un’audience mondiale pari a 32 miliardi di contatti, di cui oltre 3 miliardi saranno gli spettatori tv attesi per la finale.
Provate a far leggere queste cifre ad un qualsiasi direttore marketing di un’azienda che produce o distribuisce prodotti di massa, e noterete uno scintillio paperonesco nei suoi occhi.
Il mondiale di calcio va letto come fenomeno economico che riesce a muovere ingenti somme di denaro: quest’anno il giro d’affari è stimato nell’ordine di 2,3 miliardi di euro di cui oltre un miliardo è rappresentato dai ricavi dei diritti media (tv, telefonini, internet), e circa 750 milioni dal valore delle sponsorizzazioni.
Insomma, i numeri parlano chiaro.
Ci sono due categorie di aziende che investono su questo evento: le grosse corporations che appaiono come sponsor ufficiali della World Cup - quest’anno sono quindici, tra cui Coca-Cola, Adidas, Emirates Airlines e Yahoo! - e che, in quanto tali, hanno il diritto esclusivo di esporre il proprio marchio all’interno e fuori dagli stadi e di associarlo su tutte le pubblicazioni ufficiali della Fifa; tutto questo per un esborso medio per azienda di oltre 40 milioni di euro. Ed esistono poi centinaia di aziende che sfruttano l’evento mediatico e, soprattutto, il senso di nazionalismo e patriottismo che il mondiale di calcio riesce a scatenare, per poter abbinare il proprio brand all’effige e alla squadra nazionale. Si vengono così a creare delle situazioni paradossali di marchi e prodotti assai distanti dal mondo sportivo e calcistico che, improvvisamente, per poco più di un mese, si trasformano in assai poco credibili tifosi da curva della nazionale. I casi in Italia sono tanti e continuamente di fronte ai nostri occhi, basta accendere la tv o leggere le pubblicità sui quotidiani sportivi.

Ma le situazioni più bizzarre sono quelle di grandi multinazionali che sponsorizzano e supportano più squadre che partecipano ai Mondiali di Germania.
C’è la MasterCard che nell’ultima campagna pubblicitaria si pone come principale supporter della nazionale inglese; la stessa cosa fa, con altrettanti toni da ultrà, per la nazionale argentina e australiana. Come pure l’azienda spagnola di abbigliamento sportivo Umbro che ha riempito il proprio sito con immagini del team inglese di cui è sponsor ufficiale con uno slogan senza-se-e-senza-ma, “One love”: tale claim viene utilizzato in ogni occasione di comunicazione, tranne ovviamente quando la squadra della perfida Albione si incontrerà con la Svezia, altra squadra rivestita dalla Umbro.
Sono le imperfezioni del glocal, ovvero quando il global si scontra con le problematiche locali. E’ ovvio che queste cose sono sempre successe, però con i marchi sempre più globalizzati e con media universali come internet, i giochi vengono scoperti più facilmente e con risultati spesso imbarazzanti.

Ma la vera battaglia viene giocata tra le grandi multinazionali dello sportwear che si sono spartite gran parte delle 32 squadre presenti quest’anno in Germania. Nike ne sponsorizza otto (tra cui Brasile e USA); Adidas, nonostante il suo ruolo ufficiale, solamente sei (era riuscita ad aggiudicarsi la Cina, ma la squadra non è passata alle qualificazioni); Puma invece, pur essendo più piccola, veste e fornisce le scarpe a ben dodici squadre, tra cui molte africane.
In passato si parlò anche di una forte influenza di questi sponsor sulle scelta della rosa dei giocatori delle nazionali, per privilegiare i propri testimonial. Come se gli sponsor fossero una sorta di Gea.

Il mondiale di calcio è soprattutto un evento televisivo - quasi la metà del budget del volume d’affari globale è rappresentato dai diritti tv, mentre il ricavato previsto dalla vendita dei biglietti è solamente il dieci per cento - e questo ovviamente muove anche un massiccio indotto di business e consumi, come ad esempio l’acquisto di televisori di nuova generazione. Per l’occasione sono stati ideati concorsi e promozioni legati al mondiale e, in particolare, alle sorti delle partite dell’Italia.
Ad esempio MediaWorld, catena di negozi di elettrodomestici, ha lanciato una promozione: se l’Italia vince i mondiali, tutti coloro che hanno acquistato nei loro centri un televisore lcd nel periodo immediatamente precedente all’inizio del campionato, vinceranno il valore del televisore in buoni acquisto. Forza Italia! Una strategia che sarebbe piaciuta all’ex premier.

Monday, June 26, 2006

 
Scarpe con le ali

Rolling Stone - Luglio 2006

Francesco Pizzuti si occupa di scarpe. L’azienda di famiglia, fondata dal nonno nel 1948, lanciò negli anni Ottanta le Docksteps, la risposta concreta, economica e non modaiola alle Timberland.
Lui invece è il responsabile del successo del marchio Merrell in Italia. “E’ il primo progetto che ho seguito fin dall’inizio e che mi fu assegnato nel 2001, perché avevo lavorato negli Stati Uniti alla Wolverine, la proprietaria americana del marchio”. La partenza fu uno choc: “Quando cominciai a occuparmene, la Merrell stava vivendo una fase difficile. Nella precedente stagione il sell-in, cioè la vendita ai negozi, era stato molto alto, e il sell-out – la vendita nei negozi – pari alla zero.Praticamente era come fossi in un aereo che stava precipitando a tutta velocità. Entravo la mattina in ufficio con il terrore che mi telefonassero rivenditori imbufaliti che volevano annullare gli ordini.”
Poi la folgorazione.
“Mi innamoro di una scarpa, la Sprint Blast, che in seguito diventerà il simbolo di Merrell. Una sneaker metropolitana, non proprio una scarpa tecnica (Merrell è un marchio specializzato in scarpe sportive outdoor), che però aveva tutte le caratteristiche di stile e comfort che potevano funzionare in Italia. E quindi concentro la distribuzione e il marketing nel valorizzare questa scarpa. Quando stavano arrivando i primi segnali positivi, arriva dagli Stati Uniti il campionario per l’anno successivo. Terribile. Scarpe che qui da noi non avrebbero mai avuto successo”.
Ma ecco un’altra intuizione.
“Quando lavoravo negli USA avevo fatto amicizia con il responsabile del mercato asiatico e avevo dato un’occhiata ai modelli Merrell venduti in Giappone. Un mercato dove dal punto di vista dei gusti, dei materiali e dei colori sono decisamente più avanti di noi. Riesco così ad avere i campionari giapponesi e a convincere gli americani a proporre anche da noi dei modelli simili a quelli giapponesi. E triplichiamo il fatturato. In poco tempo l’Italia è diventato uno dei principali mercati di riferimento per Merrell.”

Il mercato delle sneakers, si sa, è in continua crescita e non conosce crisi. Quelle-che-un-tempo-si-chiamavano-scarpe-da-tennis, adesso sono diventate accessori di culto sia per i teenagers sia per gli adulti, un po’ come le handbag per le ragazze . Ed è piacevole notare come Francesco non abbia l’arroganza di molti suoi colleghi imprenditori o manager, che parlano sempre e solo del proprio marchio: per esempio è notevole che nel servizio fotografico per Rolling Stone non indossasse delle Merrell. Una buona mezzora dell’intervista la passiamo a parlare di Nike, Adidas e Puma e di come siano stati bravi a segmentare e allargare il mercato delle sneakers, guardandosi in giro, pescando dal basso, ascoltando i consigli dei propri consumatori.
Osservare il mercato, guardare cosa indossano le persone, carpire ogni piccolo segnale: queste sono le ossessioni da imprenditore di Francesco Pizzuti “Capisci e impari di più a stare due ore all’aeroporto di Londra, che in tanti inutili meeting di lavoro”.

E proprio da queste osservazioni è nato il nuovo progetto cui Francesco sta dedicando tutte le sue energie: progetto che verrà lanciato sul mercato nella primavera-estate 2007. Rolling Stone è il primo a vederlo.
E’ una linea di scarpe. Ma non solo. Il marchio è LOFU, acronimo di “Light Object For U”. Già la scelta di inserire nel marchio la parola “object” e non “footwear” o “shoes” dà l’idea della forza innovativa del nuovo brand.
Si tratta di una serie di sandali, infradito, ciabatte e watersoak realizzati con una plastica speciale superleggera (E.V.A, il nome del materiale), “ma non stonerebbe se LOFU diventasse anche un brand di mobili, di accessori per auto o occhiali. Noi crediamo che ci sia la possibilità di aprirsi anche su mercati diversi dalla moda e dalle calzature”.
Il concetto chiave è quello della leggerezza che significa anche comfort, benessere e funzionalità, valorizzato da un’alta qualità di design.
“LOFU sarà un lancio internazionale: l’obiettivo è quello di creare una calzatura innovativa e alternativa con una forte connotazione di design italiano” mi confida con una certa sicurezza.
Già, il “Made in Italy”: argomento sempre molto discusso e piuttosto contraddittorio. Francesco con provocatorio candore realista mi mostra la suola delle scarpe dove compare la scritta “Italian Design - Made in PRC” (dove PRC sta per People’s Republic of China). “Oggi al consumatore non interessa sapere dove è stata prodotta la scarpa, l’automobile o il pc. L’importante è che il marchio sia coerente, credibile, e che contraddistingua prodotti di qualità, senza disilludere chi compra e naturalmente rispettando i propri lavoratori”.
Elogio della leggerezza, quindi.
A questo punto, per paragonare il nostro discorso a un percorso metaforico-musicale, siamo dalle parti del pop, quello piacevole e sofisticato di Sondre Lerche e dei Belle and Sebastian.
Leggerezza pop. Con le ali.

Sunday, June 25, 2006

 
TUTTI NEL MIRINO

StyleMagazine Giugno 2006

Scattare, condividere, archiviare. Questi i tre verbi chiave nell’era della fotografia digitale. A differenza del passato, oggi tutto questo può essere realizzato in grande scala.
Con le fotocamere digitali - piccole e sottili ma con memorie sempre più capaci - è possibile realizzare centinaia di foto senza la paranoia di terminare il rullino. Di conseguenza ci ritroviamo a scattare foto a ogni cosa. Di fronte ad un paesaggio, un’opera d’arte o semplicemente ad un cartello eccoci tutti in fila con le nostre mini fotocamere a fermare l’attimo, sacrificando l’intensa emozione del momento, ma rendendolo replicabile per sempre.
La vera novità oggi è quella di poter collezionare e mostrare - potenzialmente a tutto il mondo, grazie alla rete - i propri scatti. Praticamente come mostrare le diapositive delle vacanze allo stadio Maracanà. I siti di pubblicazione e condivisione di immagini come Flickr (http://www.flickr.com) hanno un successo clamoroso tra gli internauti. Molti di noi desiderano lasciare traccia di sé nella rete; costruirsi una sorta di lifeblog (letteralmente, diario di bordo della propria vita pubblicato su internet) per ricordare e "collezionare" le proprie esperienze in forma di foto o filmati digitali.
La maggior parte delle macchine fotografiche digitali oggi può “girare” anche dei piccoli video che, in questo caso, possono essere montati con software di facile uso.
Attraverso la pubblicazione su internet ci si può imbattere in
nuovi videomaker di talento. Molte aziende - Converse AllStar e Mastercard - hanno recentemente affidato le proprie pubblicità ad emeriti sconosciuti che avevano pubblicato in rete i propri lavori. Sull’esempio di Current tv, la tv ideata dall’ex vice-presidente USA Al Gore, Mtv Italia ha creato Flux, un canale tv basato sul concetto di “empowerment”: cioè una “tv partecipativa”, in cui gran parte dei contenuti è realizzata dagli utenti che inviano i propri video via internet o videofonino. I registi Ciprì e Maresco, sostenitori di Flux, sono al contempo affascinati e diffidenti nei confronti della tecnologia “Non siamo contro i mezzi digitali, anzi siamo interessati a conoscerli e a utilizzarli nel miglior modo possibile. Disgraziatamente non sempre succede: la tecnologia ha dato la possibilità di far utilizzare questi mezzi a tutti e il cinema e la tv alla fine non ne hanno giovato. Forse però sta nascendo qualcosa di nuovo”.
Comunque la si pensi una nuova era è iniziata. Avanti, c’è posto.

Friday, June 23, 2006

 
L'advertising e la "finanza-spettacolo"
IL CASO ARCHELOR-MITTAL INAUGURA "L'OFFERTA PUBBLICITARIA DI ACQUISTO"

Il Foglio - 23 Giugno 2006

Ormai siamo abituati a tutto. Abbiamo visto campagne pubblicitarie milionarie a supporto dei collocamenti in borsa di società o di impervie scalate bancarie. Al fine di convincere i risparmiatori e gli investitori sono stati utilizzate canzoni di Velvet Underground, produzioni da kolossal hollywoodiani e perfino ardite metafore felliniane.
Alla “finanza spettacolo” quindi siamo ormai abituati, ma mai avremmo pensato che un’importante e strategica fusione di gruppi leader in un mercato austero come quello della siderurgia si sarebbe giocata sulle pagine pubblicitarie.
Breve cronistoria: il mercato dell’acciaio, da alcuni anni, si sta rapidamente concentrando e ormai sono rimasti cinque-sei attori a livello globale. Ultima in ordine di tempo ad essere coinvolta dal processo di merging & acquisition, è la francese (con base a Lussemburgo) Arcelor che da gennaio sta subendo offerte pubbliche d’acquisto a profusione. I principali candidati sono Mittal, gigante dell’acciaio indiano con base a Londra che ha già rilanciato la opa per ben due volte e la SeverStal, gruppo russo guidato dal baby oligarca Mordashov e che detiene già una quota di Arcelor.
I francesi si stanno dimenando per non essere colonizzati, specialmente dal gruppo anglo-indiano Mittal. Tale resistenza non viene palesata solo attraverso le dichiarazioni negli articoli dei quotidiani economici ma, per rendere ancor più efficace e d’impatto la propria strategia, hanno deciso di utilizzare direttamente le pagine pubblicitarie.
Come dire, là dove non arrivano gli advisor meglio mettere gli advertiser.
Così Arcelor ha chiesto all’agenzia pubblicitaria Publicis di trovare una strategia per suggerire agli investitori di appoggiare la fusione con la russa SeverStal e di bocciare il tentativo di scalata ostile dell'indiana Mittal. Alcuni giorni fa sul Financial Times è apparsa una doppia pagina pubblicitaria con una vignetta e una frase ad effetto “Preferite le tonnellate che valgono di più o quelle che valgono meno?”.
La campagna ha scatenato un putiferio sia nei consigli d’amministrazione di Mittal che nei mercati borsistici. Una serie di concause ha fatto sospendere il titolo Arcelor sui principali mercati europer e la minoranza degli azionisti è riuscita a rinviare l'assemblea che doveva approvare un buyback di azioni proprie per mandare in porto la fusione con i russi.

Anche Mittal ha deciso di scendere sullo stesso campo di battaglia, ma con una visibilità, e quindi con un investimento, maggiore. Attraverso l’agenzia TBWA ha comprato spazi sui principali quotidiani europei in vista della votazione del 30 giugno. Tutte i soggetti della campagna pubblicitaria sono esplicitamente rivolti agli azionisti Arcelor: alcuni giocano più sull’ironia (mercoledì sull’Herald Tribune la pagina ritraeva una vignetta di una coppia di investitori decisa a votare no alla fusione con Mittal che si avventurava bendata dentro un labirinto) altri - come quelli apparsi sul Wall Street Journal – hanno un profilo più istituzionale ed assumono la forma di una lettere agli investitori in cui si spiegano dettagliatamente i vantaggi di una fusione con il gruppo anglo indiano.
Il prossimo passo sarà verosimilmente una “contro comunicazione” della Arcelor o direttamente della compagnia russa SeverStal che, come per tradizione, ha scelto il silenzio e fa parlare soltanto la società francese.
Più che di offerte pubbliche d’acquisto, possiamo definirle offerte pubblicitarie d’acquisto. Del resto negli ultimi anni le operazioni di fusione tra aziende che operano in mercati maturi si sono moltiplicate. Tutto questo ha avuto un impatto positivo sul mercato pubblicitario: in Italia nel 2005 secondo i dati di Nielsen Media Research elaborati da UPA, gli investimenti pubblicitari del comparto “finanziario e assicurativo” - che comprendono anche le Opa e i collocamenti in borsa - hanno contribuito per il 30% alla crescita del mercato dell’advertising, specialmente nella stampa dei quotidiani. E il futuro pare anche più roseo, considerando che nei primi 4 mesi del 2006 il comparto ha generato una spesa pubblicitaria di oltre 141 milioni di euro, che nell’intero 2005 era stata di circa 386 milioni di euro.

Saturday, June 10, 2006

 

La Settimana Incom

Graphic Novel

Fumetti? Non solo. Romanzi? Non solo. Un ibrido internazionale di successo in mostra a Milano.


Il Foglio - 10 Giugno 2006

Molti li considerano solo romanzi per persone pigre che non hanno voglia di leggersi un libro, e per altri sono la forma narrativa contemporanea più artistica e creativa.
Stiamo parlando della “graphic novel” ovvero del romanzo a fumetti, dove il disegno è capace di “servire” il racconto. Tale forma di fumetto viene celebrata nella mostra “Fumetto International” alla Triennale di Milano. Dopo le monografiche a Wahrol e Haring e la recente mostra Beautiful Losers sulla street art, la Triennale si conferma un solido punto di riferimento e di confronto tra arte contemporanea, media e cultura pop.
Fumetto International, curata da Fausto Colombo e Matteo Stefanelli, è la prima vera esposizione in Italia che indaga in modo sistematico le differenti culture del fumetto contemporaneo internazionale, e le profonde trasformazioni a cui è stato sottoposto negli ultimi anni.
I primi fumetti da annoverare come graphic novel comparvero per la prima volta verso la fine dei Settanta-inizio Ottanta con le opere di Hugo Pratt (Corto Maltese) e di Will Eisner (“Contratto con Dio”, ufficialmente riconosciuta come prima graphic novel). Poi arrivò Art Spiegelman con “Maus”, romanzo a fumetti allegorico e (auto)biografico, pubblicato tra il 1973 ed il 1991, e che gli valse il premio Pulitzer. Vi si narra la storia del padre, un ebreo polacco sopravvissuto alla Shoah. Fecero seguito il Batman gotico di Frank Miller, e V for Vendetta e From Hell di Alan Moore, da cui poi sono state tratte alcune fortunate pellicole.
La trasformazione del fumetto in graphic novel non solo ha segnato un mutamento del supporto - dalla striscia sul giornale al libro -, e di canale – dall’edicola alla libreria –, ma ha altresì prodotto una mutazione profonda nell’approccio del lettore verso il fumetto: una maggiore pazienza per la lunghezza della storia e la sua complessità, uno sguardo più accurato alle immagini, e una interpretazione del testo che richiede un’attenzione più marcata. L’obiettivo degli autori di graphic novel è stato quello di opporsi alla standardizzazione culturale che vedeva il fumetto come mero mezzo di evasione: il risultato è stato la progettazione di ampie vicende romanzesche con un’attenzione inedita per il rigore formale e il rifiuto degli stereotipi di genere. La mostra, grazie all’originale installazione progettata da Denis Santachiara, dà modo di godere delle tavole originali delle opere di Craig Thompson (autore di “Blankets”), dei fratelli Hernandez, e di Davide Toffolo (che ha recentemente fatto uscire il bellissimo “Pasolini”, una graphic novel sulla figura dell’intellettuale romano a cavallo tra cronaca e diario di viaggio).

La vera grande novità del fumetto arriva dall’Oriente: la seconda parte della mostra è infatti dedicata all’Asian Wave e all’ibridazione culturale che ha accompagnato la diffusione del manga e la sua metabolizzazione nei paesi occidentali. L’ingresso intorno ai primi anni Novanta del fumetto giapponese (con Akira di Katsuhiro Otomo), e successivamente di quello coreano e cinese, ha condotto a una serie di sostanziali cambiamenti nella scena del fumetto internazionale. Basti pensare alle reinterpretazioni in chiave pop di Barbucci & Canepa (autori dei successi internazionali del disneyano Witch e di SkyDoll) ma anche alle tavole di Humberto Ramos che ha osato ibridare con deformazione “anime” (opere d’animazione giapponese) un’icona Usa come Spider-Man. La mostra si conclude con la “Fumettoteca ideale”, una sezione che consente di consultare centinaia di opere contemporanee, sia le inedite sia quelle in edizione originale.

Fumetto International - Triennale di Milano, fino al 3 Settembre.

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