EmmeBi Attached

Gli allegati di EmmeBi Blog: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.

Friday, April 21, 2006

 
UN FOGLIN SPORTIVO

Tennis rock'n roll


Londra punta sul govane scozzese Andy Murray per ritrovare in campo un Fred Perry con l'iPod

Il Foglio - Venerdì 21 Aprile

Anche nel Regno Unito - come in Italia e nel resto del mondo - il tennis sta vivendo un forte calo di popolarità. C’è chi dice che sia colpa delle regole ormai antiquate che sacrificano lo spettacolo, altri sostengono che siano le racchette ad essere troppo potenti e a vincolare troppo il gioco sui servizi. L’altra verità è che, nonostante l’alto livello qualitativo del tennis giocato, manca semplicemente una serie di campioni, di personaggi da emulare, testimonial credibili e amabili dal grande pubblico.
L’Inghilterra, patria famosa per i campi verdi ma non per i suoi tennisti, sta provando ad allevarne uno. Il suo nome è Andy Murray, scozzese, classe 1987. Una carriera folgorante la sua: a soli 12 anni vince l’Orange Bowl in Florida e nel settembre 2004, a 17 anni, si aggiudica il prestigioso titolo U.S. Open Boys. Due settimane dopo viene convocato nella squadra britannica di Coppa Davis e a dicembre è eletto dalla BBC come Young Sports Personality of the Year. Ma è il 2005 l’anno della conferma: è il primo scozzese nella storia del tennis a raggiungere il terzo turno a Wimbledon e in meno di dodici mesi, grazie alle ottime performance nell’Us Open e il Thailand Open, riesce a scalare la classifica ATP dalla posizione 374 alla 72 (oggi è alla 25).

A star is born, quindi. Ma non basta. Per costruire un campione ci vuole anche altro. Provate a pensare a Bjorn Borg spoglio dei suoi completini vintage Fila, oppure a John McEnroe senza i gesti nervosi per tirare su la maglia Sergio Tacchini all’altezza delle spalle. O ancora a Chris Evert priva dei suoi svolazzanti gonnellini bianchi e rosa. Impossibile. L’abito fa il tennista: è una regola non scritta ma incontrovertibile. Così per il lancio in grande stile di Andy Murray è stato coinvolto anche uno storico brand come Fred Perry che torna dopo molti anni a produrre abbigliamento sportivo. In effetti è proprio sui manti erbosi inglesi che questo marchio è nato. Sir Frederick John Perry è stato l’ultimo grande tennista inglese, vincitore di tre Wimbledon negli anni Trenta, personaggio brillante ed estremamente elegante, rimasto celebre per la sua pipa e per alcuni avventurosi flirt con dive hollywoodiane come Jean Harlow e che, in finale di carriera, prestò il suo nome per una linea di abbigliamento sportivo. Fred Perry fu la risposta inglese alla francese Lacoste e, fino agli anni Sessanta, fu il marchio più desiderato dai tennisti. Successivamente, proprio per la sua forte connotazione brit, le polo Fred Perry divennero un accessorio di culto delle sub-culture giovanili nate a Londra come i mods e gli skinheads, ma anche di popstar come Paul Weller, il dj Fat Boy Slim, Damon Albarn e Pete Doherty.

Fin dalla prima vittoria del giovane scozzese, dal temperamento molto rock’n roll, le vendite del marchio con la corona dorata d’alloro iniziarono a crescere rapidamente non solo come capo di street fashion ma anche come abbigliamento sportivo. Così lo scorso anno Murray ha firmato un contratto milionario di quattro anni che gli consente anche di disegnare i completi che indosserà, privilegio questo concesso solo ai campioni di grande calibro come il golfista Tiger Woods. Il giovane scozzese ha recentemente aiutato a disegnare la polo che porterà a Wimbledon: il modello è bianco candido ma con un tocco di Scozia, rispettando il ferreo “dress code” del massimo torneo inglese che consente solo un 5 per cento di tessuto colorato - nero, nel caso specifico - sul completo da tennis.

Il personaggio c’è: carino, di origine popolari e amante della musica (spesso scende in campo con il proprio iPod nelle orecchie). Murray con la sua zazzera bionda e i suoi modi da adolescente guascone e bizzoso hanno già conquistato il pubblico e i tabloid inglesi e, se quest’anno continueranno ad arrivare i risultati, potrebbe diventare il personaggio giusto per il rilancio del vetusto e polveroso tennis.

Saturday, April 15, 2006

 
LA SETTIMANA INCOM

Il Mobile Immobile


Meno soldi per l'Ici, più per il design. La fiera milanese dell'arredamento ha lasciato un messaggio post voto.

Il Foglio - Sabato 15 Aprile 2006

Sarà stata l’attesa pre-elettorale, l’assenza di alcune importanti aziende d’arredamento o forse il diffuso clima di incertezza economica, ma quest’anno il Fuori Salone - noto anche come “la Settimana Milanese del Design” - si è svolto in tono minore.
Più che una “festa mobile” si è rivelata una manifestazione immobile.
Quello che fino allo scorso anno era l’appuntamento più internazionale e vivo di Milano, si è trasformato in un banale cliché: poche le novità, abusate le location, rare le tracce di originalità. Tutto alla fine si limitava al pellegrinaggio di massa durante l’ora dell’aperitivo nelle zone di Brera, Via Tortona e Via Durini, con le solite congestioni del traffico e dello stomaco per effetto di brut dozzinali e tartine stantie servite ai vernissage.
Consueti riti per consueti miti: Ingo Mauer e le sue invenzioni di luce esposte allo spazio Krizia, l’alluminio freddo di Driade, il connubio assai poco progettuale tra stilisti annoiati e designer già emersi. E poi sempre i soliti noti: Ron Arad, Philip Starck, Matteo Thun e i loro esercizi di stile da salotto.
Nonostante le montagne di carta distribuite in giro - qui abbiamo contato ben cinque guide per il Fuori Salone - poche erano le cose davvero interessanti: i sontuosi lampadari Svarowsky; le idee creative per la cucina degli studenti dell’Istituto Europeo del Design; le strambe invenzioni degli inglesi Designer Block.
Abbiamo invece notato, nelle esposizioni e nelle installazioni, una forte tendenza di ritorno alle origini: i sofisticati accessori da cucina e da bagno della Dornbracht esposti all’interno di una vecchia fattoria; e i djs di MOD che nello spazio Intervallo di Zona Tortona creavano un tappeto sonoro rock e funk anni ‘70 utilizzando un piatto solo, come nelle feste in casa di una volta.

Il Fuori Salone resta sempre un’ottima vetrina per esporre e presentare i propri prodotti in modo originale, soprattutto se questi hanno poco a che fare con il design: per il lancio del nuovo modello la Lexus ha chiamato l'artista e designer Tokujin Yoshioka, che ha costruito al Museo della Permanente un paesaggio lunare composto da una cascata di 700 km di fibre trasparenti: una gigantesca lente per focalizzare lo sguardo dello spettatore sul modello-scultura della nuova berlina di lusso. La Ferrero ha chiesto ad alcuni designer di interpretare il barattolo della Nutella (il nostro personalissimo “Compasso d’Oro” lo assegnamo al ditale di biscotto ideato da Paolo Ulian. Mai più senza!).
La parte del leone è stata interpretata da Ikea: la catena svedese ha disseminato nelle piazze milanesi modelli giganteschi dei loro articoli più popolari - il divano Klippan, la lampada Skyar - con a fianco il cartellino col prezzo corrente, drasticamente ridotto rispetto a quello pre-Euro.
Ma il Fuori Salone è anche party notturno: il reparto ludico e festaiolo è stato affidato a un collettivo che fino a qualche anno fa animava le danze elettroniche nei centri sociali, mentre ora organizza feste ad invito sponsorizzate da BMW, servendo le delizie cucinate con l’azoto liquido da Carlo Cracco di Cracco Peck. Un segno dei tempi, come Francesco Caruso in parlamento.
Nonostante tutto crediamo che la Settimana del design rimanga un importante appuntamento per l’economia milanese e per i business del Made in Italy, anche se gli unici contratti e assegni che giravano li abbiamo visti firmare sui tavolini di nessun design e sulle poltrone di pelle del nuovo showroom Natuzzi (Divani&divani) in Via Durini che, per la prima volta, è entrato a far parte del salotto buono e snob del design. Qui si facevano veri affari con ricchi arabi e cinesi, altrove non sappiamo.
Il 2006 è stato però l’anno della nuova Fiera Milano di Rho-Pero, e là si è svolto il vero Salone Internazionale del Mobile: uno spazio espositivo gigantesco, efficiente, bello e davvero internazionale. Per l’occasione il polo del design italiano capitanato da Luca Cordero di Montezemolo attraverso il Fondo Charme (Poltrone Frau, Cappellini, Cassina, Alias) ha lasciato il palazzo Ex-Poste e ha esposto la lussuosa mercanzia nelle luccicanti sale della nuova Fiera Milano. E per un attimo qualche avventore, con in testa la promessa del Cav. di tagliare l’ICI in caso di vittoria della Casa delle Libertà, ha perfino sognato a occhi aperti un desiderato oggetto di design da sfoggiare nel proprio salotto.

Tuesday, April 11, 2006

 
Giocattoli/Hi-tech

Telefonino all'ultimo stadio


Style - Aprile 2006


La notizia è, a suo modo, rivoluzionaria. Quest’estate i clienti del gestore telefonico “3” (quasi sei milioni in Italia) potranno assistere a tutte le 64 partite dei mondiali di calcio FIFA 2006 direttamente dal loro videofonino che, per l’occasione, si trasformerà in “tivufonino” con buona pace di chi detesta i neologismi. Per il momento un solo modello (LG U900) è abilitato al servizio, ma presto si affiancherà il Samsung Stealth e altri ne seguiranno.
Ci piace pensare che l’inarrestabile progresso tecnologico recuperi anche abitudini e comportamenti del passato: il pensiero torna alle passeggiate domenicali di certe coppie, con lui che con una mano stringeva quella della compagna e, con l’altra, teneva all’orecchio la radiolina per ascoltare la cronaca calcistica. Una replica di questo quadretto, molto anni Settanta, si potrebbe ripetere quest’estate con il tecnologico telefonino a sostituire la gracchiante radio portatile.
Sembra un secolo fa - invece sono passati solo pochi anni – quando si pensava che il computer sarebbe diventato il device del futuro, ovvero lo strumento su cui avremmo convogliato tutte le funzioni del nostro quotidiano: comunicare, informarsi, acquistare, guardare film, giocare. Per alcuni in realtà è andata così, ma non per la maggioranza.
Poi è venuto il momento del televisore: quindi internet in tv, l’interazione e i mille progetti di set top box falliti. Adesso è chiaro a tutti che questi meriti se li è conquistati il telefono cellulare. Del resto i numeri parlano chiaro: in Italia la diffusione è totale (tasso di penetrazione del 111% con 65 milioni di abbonati) e anche il mercato della telefonia di terza generazione, con oltre 7 milioni di abbonati ai servizi Umts sta rapidamente crescendo, cosi come i servizi a pagamento. Ascoltare musica, navigare su internet, farsi guidare. Tutto con il telefonino. Chissà se presto riusciremo anche a visualizzare i nostri sogni come preconizzò Wim Wenders nel suo “Fino alla Fine del Mondo”.

Tuesday, April 04, 2006

 
IL FOGLIN SPORTIVO
Quando è il calcio a esportare

Il Foglio - 4 Aprile 2006


La società di consulenza Deloitte da nove anni conduce una ricerca per individuare le venti squadre di calcio più ricche del mondo, ovvero quelle che sviluppano più ricavi.
La classifica del 2005 segna un importante sorpasso: per la prima volta il Manchester United non si trova più in vetta alla classifica dei club più ricchi, ma è sorpassato dal Real Madrid: grazie ad una profonda trasformazione nel modo di gestire il proprio business, il Real è riuscito a raddoppiare i propri ricavi negli ultimi quattro anni, contabilizzando quest’anno 276 milioni di euro.
Nella top 20 sono presenti otto club inglesi, cinque italiani (Milan al 3° posto, Juventus al 4°, Inter al 9°, Roma al 11°, Lazio al 20°), tre spagnoli, due tedeschi, uno francese e uno scozzese. Pur essendo una classifica internazionale, nessuna squadra non europea è presente nel report presentato poche settimane fa alla stampa.
Basandosi sui dati resi pubblici dai club, la classifica tiene conto di tre tipi di ricavi: gli incassi delle partite, composti dalle vendite dei biglietti e abbonamenti, gli introiti da “broadcasting” ovvero i proventi dei diritti televisivi sia per le partite di campionato sia per le coppe internazionali e, infine, le entrate cosiddette “commerciali”, quelle derivanti dagli sponsor, dalla vendita di merchandising e dallo sfruttamento dell’immagine del club.
Negli ultimi anni si è assistito ad una sostanziale crescita dei ricavi dei club europei determinata soprattutto dagli introiti dei diritti televisivi: in questo campo le squadre italiane, che hanno potuto negoziare singolarmente i diritti di trasmissione con le emittenti tv, sono riuscite ad ottenere il maggior beneficio (il Milan si è assicurato circa 138 milioni di euro dai diritti tv, pari al 59 per cento delle proprie entrate ). Ovviamente un maggior incasso sui diritti tv si traduce in un minor ricavo derivante dalla vendita dei biglietti allo stadio: la Juve, ad esempio, ha il minor numero medio di spettatori paganti dell’intera Money League (26.000 tra biglietti e abbonamenti per singola partita) e contribuisce ai ricavi totali della squadra solo per un 10 per cento. Gli altri club, al contrario, possono contare sugli incassi derivanti dai servizi accessori offerti dagli stadi che si sono trasformati in veri e propri spazi polifunzionali (centri commerciali, spazi per conferenze ecc…): in particolare le società inglesi - e, ultimamente, le tedesche - hanno investito molto sulle nuove strutture che hanno portato nuovo pubblico allo stadio.
Ma la vera sorpresa è rappresentata dal Real Madrid e dalla gestione improntata dal presidente Perez. Al contrario delle squadre inglesi e di quelle italiane, il club madrileno ha basato la propria crescita sugli accordi commerciali: l’obiettivo di Perez era quello di rendere il Real il club più noto e popolare al mondo. In questa direzione va interpretata la scelta di costruire una squadra di campioni come Ronaldo, Beckham e Zidane e dei continui tour pre-campionato in Estremo Oriente. Tutto questo ha portato ad una serie di sponsorizzazioni milionarie con Siemens, Adidas, Pepsi e Audi (46 milioni di euro) e un’entrata annuale pari a 54 milioni derivata dalla vendita di merchandising e dalla concessioni delle licenze di sfruttamento del marchio e dei colori del Real in tutto il mondo.
Oltre ai risultati d’esercizio, nel calcio contano i risultati sul campo, e negli ultimi anni a Madrid non si sono proprio visti: il Real nel 2005 è arrivata seconda nella Primera Liga ed eliminata dalla Juve in Champions League. Quest’anno poi gli obiettivi d'inizio stagione sembrano ormai tutti irraggiungibili, come la Coppa del Re (eliminati in semifinale dal Saragozza), o compromessi, come la Liga, (dieci i punti di svantaggio dal Barcellona). E quindi il presidente Perez ha dovuto rassegnare le proprie dimissioni: prendendosi tutte le colpe, autoaccusandosi di aver viziato i giocatori e di essersi comportato come “il padre che ha cercato di dare il meglio ai propri figli, e loro hanno frainteso”.
E’ proprio vero, anche i ricchi piangono.

Monday, April 03, 2006

 
"Dadada", in Germani la Pepsi gioca la carta tormentone

Vanity Fair - 6 Aprile 2006

Se la Coca-Cola è stato lo sponsor principale delle olimpiadi invernali, i prossimi mondiali di calcio saranno dominati dalla Pepsi. Ed è anche già pronto il tormentone per l’estate.
Si tratta di quel “DaDaDa” dei Trio, pezzo caldo dell’agosto 1982, l’unica canzone tedesca ad aver avuto un successo planetario e che fa da tema musicale allo spot. Il format è sempre lo stesso: far improvvisare a calciatori celebri delle partitelle di pallone impossibili in luoghi improbabili. Questa volta i soliti testimonial Beckham, Ronaldinho, Henry e Roberto Carlos sono alle prese con un gruppo di crucchi all’interno di una classica Festa della Birra, dove però si serve solo Pepsi. Ne usciranno sconfitti. Ma con la pancia piena.
Sul sito (www.mydadada.com) è possibile vedere in anteprima lo spot - che sarà sugli schermi a fine Aprile - e scaricare la suoneria del probabile tormentone di quest’estate.

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