EmmeBi Attached

Gli allegati di EmmeBi Blog: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.

Monday, July 30, 2007

 
Generazione "travumer"

Style Magazine - Luglio/Agosto 2007

Siamo tutti videodipendenti, ammettiamolo. Sono i fatti a dimostrarcelo. Ogni momento della nostra vita è scandito da immagini video che ci accompagnano e documentano la nostra presenza.
La testimonianza della nostra prima forma di vita è l’immagine video dell’ecografia; le polverose e ingombranti pile di videocassette vhs o album di famiglia sono oggi sostituite da migliaia di impercettibili bit, e i lettori dvd - a piccole dosi - spesso prendono il posto di efficaci babysitter per i nostri figli.
C’è addirittura chi ha brevettato uno schermo, funzionante a batterie solari, da inserire nella pietra tombale al posto dell’ingiallita foto e che trasmette un mix di immagini del caro estinto.
Possiamo quindi fare a meno di monitor sottilissimi, lettori dvd portatili o videocamere per le nostre vacanze o, in generale, per i nostri spostamenti? “No di certo” dice a Style il regista Alessandro D’Alatri “Il pc portatile è ormai la mia casa mobile, il 90 per cento della mia vita passa di lì, e nei miei continui viaggi non ne posso più fare a meno”.
Sempre di più si sta affermando la figura del travumer – traveller consumer, letteralmente consumatore in viaggio – colui cioè che, pur essendo sempre tra aeroporti e hotel, non vuole rinunciare ai propri consumi e giocattoli tecnologici.
“La tecnologia permette anche di guardarmi in vacanza tutti quei film che durante l’inverno mi sono perso” continua D’Alatri.
Il mercato dei film a noleggio online negli USA sta crescendo a ritmi vertiginosi (nel 2006 i downloads ammontavano a circa 111 milioni di $ e nel 2007 si prevede arriveranno a 472 milioni $, nel 2008 1,2 miliardi di $) e anche in Italia alcuni siti stanno mettendo a disposizione sconfinate videoteche di film da noleggiare o acquistare attraverso il download.

Ma oggi non ci basta più la presenza di lettori e registratori video in auto o in barca, in spiaggia o in alta montagna. Adesso pretendiamo anche la qualità. La parola chiave oggi è una sola (anzi due): alta definizione. I pixel aumentano, le immagini diventano più nitide e il suono ha l’effetto surround. Per avere l’alta qualità siamo anche disposti a sopportare l’ennesima lotta dei formati e delle sigle: Hdv e Avchd per le videocamere, Blu-ray disc e Hd-Dvd per i lettori dvd. Come è già successo in passato, saranno i giochi di mercato delle major e delle big companies - e non la qualità o il nostro gradimento - a decidere chi sopravvivrà nel prossimo decennio.
Videodipendenti sì, ma con il gusto per l’eccellenza e la “voglia di rischiare”.

Wednesday, July 25, 2007

 
Toyota ha superato General Motors, non solo nelle vendite

Il Foglio - 25 luglio 2007

Periodicamente torna il valzer dei numeri per stabilire a chi spetti la leadership globale nel mercato delle quattro ruote.
Le ultime cifre rilevate assegnano lo scettro alla Toyota: nei primi sei mesi del 2007 il gruppo nipponico ha venduto oltre 4,71 milioni di vetture, mentre la General Motors, che ha dominato il mercato per 74 anni, ne ha distribuite 4,67 milioni. C’è però da tener presente che il trend dell’azienda americana è positivo: GM nel secondo trimestre ha visto crescere la propria quota sui mercati emergenti dell’Asia e dell’America Latina. In Cina le vendite sono aumentate del 6 per cento, in Brasile del 23 per cento e in Russia sono addirittura raddoppiate. Sul mercato statunitense invece la market share è pari al 23 per cento ed è in continuo calo (nel secondo trimestre 2007 le vendite hanno fatto registrare un -7 per cento), mentre quella di Toyota è al 16,1 per cento. In pratica negli ultimi tre mesi GM ha venduto 30.000 esemplari in più di Toyota. La competizione per l’anno 2007 rimane ancora aperta, specialmente dopo il blocco produttivo imposto agli impianti produttivi di Toyota a seguito del forte sisma della settimana scorsa nella regione giapponese del Niigata e che ha colpito quaranta stabilimenti di un’azienda fornitrice di componenti.
Questi i dati.
Ma siamo davvero sicuri che oggi il successo planetario di un’azienda in un mercato complesso come quello dell’automobile si possa stabilire solo dai dati di macchine vendute?
In realtà oggi le parole d’ordine per garantire il successo globale sono altre: sviluppare sinergie, contenimento dei costi, investire sulle tecnologie di risparmio energetico e creare una forte immagine di marca.
General Motors grazie all’alto numero di case automobilistiche che guida e controlla (Chevrolet, Opel, Saab, Buick e Cadillac per citare le più note) riesce in modo efficace ed efficiente a garantire la produzione su piattaforme comuni, sfruttando positivamente le sinergie tra le aziende del gruppo. Ma è anche vero che l’apparato elefantiaco del gruppo statunitense è di difficile gestione, considerando che ogni azienda ha una propria visione che differisce da paese a paese: ad esempio le Chevrolet americane sono auto di alto di gamma, completamente diverse da quelle vendute in Italia, che in pratica hanno sostituito il parco macchine Daewoo. Oggi è noto che la strategia globale vincente è quella di fondere una miriade di piccole realtà, riuscendo a trasferire ad esse il proprio bagaglio di esperienze e di risorse, e non certo un espansionismo smodato e poco oculato.
Toyota - con il proprio brand e con i marchi Lexus e Scion, rispettivamente rivolti alla fascia alta e al target dei giovani - è riuscita perfettamente a trasferire la stessa mission e visione di business in tutti i paesi in cui è presente, dal Giappone alla Spagna, dagli Emirati Arabi agli USA.
Questo ha avuto una ripercussione positiva sia sul mercato finanziario sia sul consumatore finale: a Wall Street la capitalizzazione di Toyota vale oltre 10 volte quella di General Motors. Nel 2005 Standard & Poor's abbassò il rating di GM al livello di titolo spazzatura e oggi il titolo è più legato ai fondi pensioni piuttosto che agli andamenti delle vendite o alle nuove uscite.
Oggi Toyota è riconosciuta in tutto il mondo per costruire auto di qualità, magari non con un’estetica superlativa, ma affidabili. Specialmente nel difficile mercato USA, Toyota è riuscita a convincere gli americani, dopo le forti reazioni patriottiche “buy american” degli anni Ottanta, sulla bontà delle loro auto, costruite per la maggior parte negli States e che quindi portano ricchezza e occupazione al paese. Per il cittadino USA, specialmente dell’east e della west coast, GM oggi è un’azienda che prevalentemente pensiona dipendenti e chiude impianti.
Infine Toyota è il marchio automobilistico di riferimento in tema di risparmio energetico con l’offerta delle prime auto ibride con doppio motore elettro-termico: la Prius è, ad oggi, la più venduta tra le macchine a basso impatto sull’ambiente, sebbene i prezzi siano ancora molto alti. Ma, si sa, il rispetto ambientale è il tema caldo del momento, e su questo Toyota si sta costruendo l’immagine di marchio sostenibile. GM arriverà solo nel 2010 in questo segmento con l’ibrida Chevrolet Volt.

Tuesday, July 24, 2007

 
La Crocs e delizia dell'estate spopola e si tramuta in scarpone per l'inverno

Il Foglio - 24 luglio 2007

Il nome ricorda più una marca di patatine o di qualche altro snack per adolescenti "ciccia e brufoli" piuttosto che quello di un paio di calzature. Le Crocs, per chi ancora non le conoscesse, sono quei buffi sandali riconoscibili da alcuni tratti distintivi: coloratissimi, leggerissimi, comodissimi e bruttissimi. Il risultato di questa somma algebrica è paradossalmente positivo. Il successo delle Crocs è ormai globale: fin quando il fenomeno era limitato solo alla comunità della Louisiana o a famiglie bavaresi in vacanza, poteva essere tranquillamente snobbato. Ma quest’estate le Crocs hanno letteralmente invaso la nostra penisola, solitamente permeabile ad accessori dal livello estetico discutibile. La fiorentina Artcrafts, che li distribuisce in Italia, è passata da un parco di 80 negozi agli attuali 1500 in poco meno di un anno. Considerato che poi, proprio da queste pagine, Carlo Rossella, maestro di stile e di eleganza, ne ha tessuto le lodi, è giunto il momento di capirne qualcosa di più.
Le Crocs (diminutivo di Crocodiles: come il rettile anche questi sandali possono andare sia in acqua che sulla terraferma) sono nate circa cinque anni fa dalla mente di tre amici di Boulder, Colorado, durante una crociera ai Caraibi. L’obiettivo era quello di creare la perfetta scarpa da barca, utilizzando una particolare resina – chiamata Crosline – ultraleggera, impermeabile, facilmente lavabile e, a differenza della plastica e della gomma, resistente ai batteri e ai funghi. La formula di questa resina è segreta quanto per anni è stata quella della Coca-Cola: i componenti provengono da vari stabilimenti e sono poi mescolati in una fabbrica sotto stretta sorveglianza. Il risultato è che le copie delle Crocs, esteriormente uguali, non sono confortevoli allo stesso modo. Certo, sul design del sandalo non si sono sforzati più di tanto – le Crocs somigliano, nella forma, ai sandali degli infermieri e alle birkenstock colorate – ma le forature sulla tomaia, che favoriscono il drenaggio e la circolazione ed evitano cattivi odori, sono state apprezzate dal pubblico.
Se da un lato le Timberland stanno vivendo una profonda crisi, il titolo Crocs a Wall Street ha raddoppiato in meno di un anno il proprio valore ed è tra i più raccomandati dalla maggioranza degli analisti. Crocs è riuscita infatti a creare una categoria di prodotto e un mercato completamente nuovi, come Apple con l’iPod o Starbucks nel mercato delle bevande, con un forte contenuto di innovazione e flessibilità nel processo produttivo, grazie anche a macchinari che permettono di realizzare in poche settimane ordini di decine di migliaia di articoli nei colori più strampalati.
Ma la cosa straordinaria del Crocs-boom è che questo è arrivato senza un cents speso in pubblicità tradizionale. In Italia, ad esempio, sono bastate due apparizioni tv del prodotto (product placements) rivolte a due pubblici diversi: su Amici di Maria De Filippi (il “maestro Garrison” ne magnificava in ogni puntata la comodità e il fatto che si potessero lavare in lavatrice) e nella serie televisiva ospedalier-sentimentale “Grey’s Anatomy” (e poco importa se le Crocs in realtà siano bandite in ospedale perché l’elettricità statica che producono rischia di ingolfare i macchinari). Poi il passaparola, le foto di Bush e di qualche altro vip in vacanza con indosso i “gommoni”, hanno fatto il resto.
Ogni grande successo è solitamente accompagnato da grandi critiche. E le Crocs non si sottraggono a questa legge del mercato pop. Sono infatti nati una serie di siti e blog anti-Crocs, come “I Hate Crocs Dot Com” dedicato “all'eliminazione delle Crocs e a tutti quelli che pensano di avere delle valide ragioni per indossarle”.
E non pensate che una volta finita l’estate, il fenomeno Crocs si arresterà: sono infatti in progetto coloratissime versioni di scarponi e stivali per l’inferno. Pardon, inverno.

Thursday, July 19, 2007

 
Perche Veltroni non deve temere se ha un motore Diesel o se passa col Rosso

Il Foglio - 19 Luglio 2007

“For successful living” recita lo slogan di Diesel, ispirato a quel “consumare rende felici” tanto amato dai pubblicitari anni Cinquanta,e ironico verso quei marchi fashion che, attraverso i propri prodotti, promettono successo, felicità e benessere.
Di certo Renzo Rosso, il visionario creatore e padre padrone del marchio Diesel, successo ne ha avuto e benessere ne ha distribuito: senza alcuna tradizione sartoriale alle spalle - creò il suo primo modello di jeans ad un compagno di scuola all’uscita del liceo tagliando a mano un tessuto di tela americana - è riuscito a creare un marchio globale dell’abbigliamento casual (oggi Diesel è presente in ottanta paesi con seimila punti vendita e oltre duecento negozi monomarca), bucare il mercato americano e vendere blue-jeans negli Stati Uniti. Quasi come vendere i frigoriferi agli eschimesi.
La formula vincente è da sempre nell’attenzione nei dettagli e nella capacità di trattare il denim con un mix di tradizione e innovazione, dallo stonewashed (ovvero il lavaggio del jeans con i sassi, senza additivi chimici, per invecchiare il pantalone in modo naturale) alla colorazione, fino alla creazione di oltre cinquanta modelli di jeans diversi, una strategia di differenziazione che gli permette di vendere un paio di braghe sfilacciate e artificialmente sporche a 200 euro senza per questo sentirsi in colpa.
Personaggio interessante Renzo Rosso: figlio del nord-est operoso e pragmatico (è nato a Padova, ma il suo quartier generale è a Molvena, in provincia di Vicenza, dove realizza quasi la metà dei suoi vestiti), vive per il lavoro - in ogni sua dichiarazione ama dire che Diesel non è la sua azienda, ma la sua vita – un po’ orso e scorbutico, non frequenta i salotti dell’establishment industrial-finanziario italiano – a Montezemolo preferisce la compagnia di Bono Vox e del Dalai Lama, sebbene si racconti di lunghe telefonate con il vecchio Cuccia, bramoso di conoscere le ultime tendenze dei giovani – non ha mai voluto quotare in borsa la propria azienda, ma è tra i primi in Italia ad aver avuto successo nell’estremo oriente.
Benché abbia sempre dichiarato il proprio disprezzo per la politica italiana “clientelare, miope e arrogante”, durante l’ultimo Pitti Uomo non ha potuto fare a meno di esercitarsi nello sport più praticato dagli italiani di questi giorni nei bar, sulle spiagge e sulle pagine dei giornali, quello di manifestare entusiasmo per l’ascesa di Walter Veltroni a leader unico del neonato Partito Democratico: nell’intervista all’Unità, Rosso adduce motivazioni generazionali “E’ del ’55 come me” e, ovviamente, d’immagine global chic “ha studiato all’estero, è attento al sociale, ha girato il mondo”. Forse anche perché anni fa ricevette in Campidoglio, proprio dalle mani di Veltroni, un premio per la sua “visione creativa del business” alla vigilia di AltaRomAltaModa , tentativo di W di lanciare il capoluogo laziale come capitale della moda.
Riconoscimenti nel mondo ne ha avuti tanti, ma sono i numeri che macina la sua azienda a cui è più interessato: un fatturato di 1180 milioni di euro che cresce al ritmo del 7 per cento in un mercato, quello del casual, assai meno dinamico. Anche la politica estera viene osservata e valutata da Rosso attraverso la sua Diesel-lente: ad esempio sulla politica di Bush in Medio Oriente pensa che “se bisogna mandare là i soldati per i propri interessi, non ci sto. Ma se si va a liberare le donne dal velo, a portare la minigonna alle ragazze e la musica ai giovani… allora invadiamo il mondo!”. Come dire, l’allargamento del mercato giustifica i mezzi.
Il patron della Diesel crede da sempre nell’individualità e nelle persone, per questo è il primo a organizzare molti concorsi nel campo della musica, dell’arte e della creatività in genere alla ricerca di giovani talenti: pur definendosi di sinistra, ammira Sarkozy perché “trasmette molto, ha saputo circondarsi di giovani e vuole costruire per il Paese”.

In fondo Rosso è rimasto un uomo semplice: fiero della sua educazione cattolica, non ha ancora il coraggio di spiegare ai suoi genitori come si guadagna da vivere, ammette che gli altri concorrenti sono più bravi di lui, ma che “essendo della Vergine, sono un perfezionista e non mi arrendo mai”.
L’innovazione è la sua ossessione: all’ultimo Pitti Uomo ha presentato la prima sfilata multimediale in cui si alternano modelli reali con proiezioni su ologrammi ed altri effetti speciali. Racconta sempre all’Unità “Una volta ho pagato un milione e 750 mila lire per assistere ad un discorso di De Benedetti sull’evoluzione della tecnologia. E siccome ha detto meno di quello che sapevo, ho chiesto i soldi indietro”. Chapeau.
Se il jeans strappato o la maglia slabbrata ad arte può essere pienamente apprezzata solo da giovani e giovanissimi, non si può rimanere indifferenti di fronte alle campagne pubblicitarie, realizzate seguendo un decalogo ben preciso: altamente innovative, provocatorie, globali (un’unica campagna che va in tutto il mondo), concepite direttamente a Molvena senza testimonial famosi, anticipatrici di tendenze, e, quando è possibile, che affrontino temi sociali in modo anticonformista. L’ultima campagna stampa si chiama “Stop global warming”, ha come tema i possibili disastri dovuti al riscaldamento del pianeta e i vari soggetti ritraggono scene di vita quotidiana mentre il pianeta sta soccombendo – Venezia è invasa da pappagalli tropicali e il Cristo Redentor di Rio de Janeiro è parzialmente sommerso dalle acque.

Thursday, July 12, 2007

 
Il gossip sostenibile di "Ecorazzi" e la città che senza pubblicità non si sostiene più

Il Foglio - Giovedì 12 luglio 2007


Alla fine “vallettopoli”, i presunti scandaletti e i (non) processi sommari sul mondo del gossip hanno sortito sull’opinione pubblica l’effetto contrario: i giornali scandalistici vendono come non mai, l’orgoglio tamarro di Corona furoreggia e il Milionarie di Flavio Briatore ha anticipato l’apertura per le pressanti richieste della clientela. Curiosare nel privato di star e starlette, guardare attraverso lo spioncino la vita di “persone molto importanti”, sorpassa da destra il rispetto della privacy e l’irrivelante riservato. Ma i tempi cambiano rapidamente e, per un’elite sempre più vasta, l’”ecologia dei sì” (ma anche quella dei no e dei boh) e il politicamente corretto si portano sempre molto bene. Cambia quindi l’oggetto dello spiare: non più lo scambio di effusioni o i tradimenti del partner, bensì donazioni o campagne a favore dell’ambiente. Dalla mente contorta di due giornalisti – Michael De Etris e Rebecca Carter, i loro nomi – è nato quindi un nuovo prodotto editoriale on-line chiamato “Ecorazzi” (www.ecorazzi.com), titolo nato dalla fusione di “Ecologia” e “Paparazzi”. Una soluzione che, dicono gli autori, è in grado di conciliare pettegolezzo e impegno, lasciando al lettore il piacere del gossip, ma togliendoli il retrogusto della superficialità nella lettura.
E se è vero che il pianeta si sta sovrariscaldando, le maree si alzano e l’aria è sempre più irrespirabile, tanto vale consolarci con gli eco-pettegolezzi.
Magari c’è qualcuno a cui interessa vedere le foto della nuova stellina di Hollywood Jessica Biel mentre fa la raccolta differenziata, sapere che Matt Damon ha appena comprato una Toyota Prius ecologica o conoscere i dettagli della battaglia contro il cemento di George Clooney sul lago di Como. Per non parlare poi di tutta-la-vita-minuto-per-minuto di Al Gore, mentore e vero padre tutelare di Ecorazzi. Sul sito viene poi aggiornata una hit parade delle star che donano di più: prima della lista la star mediatica Oprah Winfrey, seguita da Barbara Streisand e Nicholas Cage.
Gli accessi del sito crescono di giorno in giorno e, dato che la fame di format dei network televisivi è ormai a livello del terzo mondo, presto diventerà anche un programma tv.

San Paolo no logo
Una città senza pubblicità. Senza poster, senza volantini, senza annunci su autobus o taxi. Niente di niente. Come scrive Business Week, sembra un provocatorio annuncio di Adbuster, il gruppo degli attivisti e “media-ecologisti” schierati da sempre contro le multinazionali e il loro strapotere pubblicitario. Invece è la fotografia di San Paolo oggi.
Tutto ha inizio a settembre, quando il neoeletto sindaco populista Gilberto Kassab riesce a far passare il programma Città Pulita, una serie di leggi contro lo stato di degrado in cui versa la città brasiliana e contro ogni tipo di inquinamento: atmosferico, sonoro e visivo. Per quanto riguarda quest’ultimo, San Paolo fino a poco tempo fa era assediata da cartelloni pubblicitari di grandi dimensioni (più di 8000 nel solo centro, per lo più abusive) che, secondo Kassab, soffocavano la città.
Per risolvere il problema, il sindaco ha adottato la strategia della “tolleranza zero”, ovvero la rimozione totale di ogni tipo di pubblicità murale e mobile (quella su autobus e taxi) sia abusiva sia regolare, comprese le insegne dei negozi oltre i 10 metri. L’associazione dei pubblicitari brasiliani ha iniziato una serie di proteste e sit-in verso questa legge “irreale, inefficace e fascista” che, secondo le loro previsioni, farà perdere oltre 130 milioni di dollari di fatturato e il lavoro a circa 20.000 persone che operano nel settore.
Sebbene la situazione fosse davvero drammatica – le famiglie più povere ricevevano denaro per coprire letteralmente le loro case di pubblicità abusive – in molti si sono chiesti se, con tutti i problemi di San Paolo (favelas, povertà, criminalità), valeva la pena prendersela contro tassisti e negozianti. La risposta, forse, è nel nome di Dalton Silvano, il principale antagonista del sindaco all’interno della giunta e che, guarda caso, è anche a capo di una nota agenzia pubblicitaria brasiliana.
La notizia della rimozione ha avuto una risonanza solo entro i confini brasiliani, fin quando il fotografo Tony De Marco non ha deciso di pubblicare le proprie foto dei muri spogli e degli impianti vuoti di San Paolo sul sito di foto Flickr per condividerle con il mondo intero. Questi scatti, che ritraevano una sorta di “cimitero di affissioni”, hanno fatto rapidamente il giro del globo e portato giornali come l’Herald Tribune e Business Week a interessarsi della questione. Le pressioni sono state tali da convincere il sindaco di San Paolo a reintrodurre per la fine dell’estate una parte di cartelloni pubblicitari di grossi inserzionisti, specialmente gli sponsor del prossimo carnevale.

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