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Gli allegati di EmmeBi Blog: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.

Thursday, November 26, 2009

 

CHEAP & CHIC
Le ragione del trionfo delle due lettere (H&M) che hanno trasformato la moda in lusso democratico.

(Il Foglio - giovedì 26 novembre 2009)

Un sabato di novembre, ore 7.00 del mattino nelle vie del centro di una grande città italiana, anzi - per essere più precisi - in sei città italiane.
Poco importa se il cielo era plumbeo o sereno, lo scenario che si presentava era più o meno lo stesso: una lunga e ordinata fila di persone di fronte a una saracinesca chiusa. Non extracomunitari in coda per il permesso di soggiorno, neppure studenti per il rinnovo della tessera tranviaria. Bensì giovani donne (ma anche qualche maschietto) genere fashionista, di nero vestite, con accessori colorati e telefonino di ordinanza in mano. Un'immagine che spesso si vede nei servizi dei tg da New York, Londra o Tokyo a testimonianza del “fenomeno consumistico” di turno.
Invece era qui. In Italia. Fine 2009.
L'evento era la vendita dell'edizione limitata della collezione Jimmy Choo (scarpe, ma non solo. Linea donna, ma non solo) disegnate in esclusiva e vendute in selezionati 200 punti vendita H&M in tutto il mondo (su 1900 negozi in 24 paesi) a un prezzo quattro/cinque volte più basso rispetto ai prodotti Jimmy Choo (il pezzo più caro a 199€).
Le parole (quelle in corsivo, specialmente) sono importanti, e quelli di H&M lo sanno benissimo. Il lusso non sta tanto nei prodotti, bensì nel modo in cui vengono “confezionati” e, quindi, percepiti.
Ma facciamo un passo indietro.
H&M è la sigla di Hennes & Mauritz, la catena di grandi magazzini finanziati dalla “Chiesa di Svezia” e che oggi rappresenta il marchio di riferimento di quel fenomeno globale chiamato “fast fashion” sintetizzabile nel business concept “moda e qualità al miglior prezzo”.

Svezia – Italia: 2-0
Ancora una volta la Svezia sconfigge l'Italia su due terreni in cui noi storicamente interpretavamo il ruolo da protagonisti: Ikea per l'arredamento e l'interior design e ora H&M sull'abbigliamento.
In meno di dieci anni la catena svedese ha inaugurato ben 64 punti vendita nel nostro paese. Solo questa settimana H&M aprirà quattro punti vendita all'interno di grossi centri commerciali del nord italia.
Sarebbe riduttivo imputare il successo di H&M (come quello di Ikea) solo ai prezzi contenuti. Le carte vincenti invero sono il modello di business e l'approccio con il cliente. Pochissimi intermediari, una supply chain ridotto all'osso e monitorata costantemente, zero sprechi, acquisti in grande quantità e pieno sfruttamento delle economie di scala. E poi una reinterpretazione del fashion system e dei suoi miti che vengono resi accessibili a tutti, non solo nei prezzi, ma nella loro “narrazione”: offerta diversificata, per occasione e tipologia di target, e distribuita nei negozi in modo semplice e leggero, aiutata anche da un personale gentile e mai invadente.
Una filosofia cheap&chic che inevitabilmente ha attirato anche il fiacco carrozzone fashion: Karl Lagerfeld, Stella McCartney, Roberto Cavalli, ma anche stelle pop come Kylie Minogue e Sua Maestà Madonna Ciccone hanno voluto associare in questi anni il proprio nome a quello della catena. Come nel caso di Jimmy Choo, H&M reinterpreta i riti della moda in modo ironico, da una parte smascherando il grande bluff economico di certe griffe, dall'altra facendo godere ai propri clienti dei “paradisi parziali” come efficacemente li ha denominati il sociologo Francesco Morace.
Insomma, lusso democratico e accessibile.

Monday, November 23, 2009

 
La promozione sul web degli show televisivi

(Link Magazine 8- novembre 2009)

Che succede all'incrocio tra la rete e il marketing televisivo? Due discorsi opposti, eppure non poi così distanti.
Il web come panecea: non c'è niente di meglio per far conoscere il prodotto e il suo brand. Il web come nemesi: ma su internet ci sono solo quattro gatti....
In mezzo sta la vera battaglia. Che vede protagonisti i network e le cable americane, con serie come Harper's Island e True Blood. Ma anche l'Italia non sta a guardare. Basterebbe crederci un po' di più...


Alcuni anni fa provai a chiedere ad un alto dirigente di un gruppo televisivo se avessero intenzione di creare contenuti originali per il web, considerato che entro i prossimi cinque anni i telespettatori, verosimilmente, avrebbero guardato la televisione sul proprio computer. Il dirigente mi rispose che non era nei loro piani perché l'industria non avrebbe potuto monetizzare tutto questo, e aggiunse “Il web serve solo per il marketing e per il branding del network”. Punto. I cinque anni sono passati, e alcune cose - tecnologia disponibile, domanda e offerta televisiva e web - sono decisamente mutate. Chi ha avuto ragione?
Quella che un tempo veniva chiamata “tv interattiva” o la tanto discussa e sperimentata integrazione tra web e tv è ancora, per molti aspetti, una lontana chimera. Dall'altro lato il web è diventato un mezzo sempre più importante e strategico all'interno del media mix a disposizione del marketing delle emittenti televisive per la promozione di show e serie tv. "Promozione web", peraltro, è un concetto vasto e onnicomprensivo: sono tanti ed eterogenei i modi e gli approcci per fare promozione su internet. Ma per promuovere una serie o uno show televisivo, il web è davvero un mezzo efficace? Esistono delle modalità che funzionano più di altre? E poi, queste, come e su cosa lavorano?
Cercheremo qui di rispondere a tutte queste domande, anche attraverso l'analisi di casi italiani e stranieri. Tenteremo inoltre di dimostrare come un efficace utilizzo del web possa non solo essere utile a mere finalità di marketing per lo show che si intende promuovere, ma anche per esplorare nuovi territori, ideare nuovi prodotti e nuove forme di narrazione.
Tipicamente la promozione web di una programma tv dovrebbe raggiungere i seguenti obiettivi: attirare l'attenzione, coinvolgere il pubblico, costruire una community di appassionati e fare in modo che quest'ultima "faccia parlare" dello show tv.
Facilissimo a dirsi, un po' più complicato a farsi. L'apparente assenza di vincoli e di format prestabiliti, se da una parte lascia ampia libertà creativa, dall'altra di certo non aiuta.

I primi tentativi in Italia
All'inizio tutto si risolveva nella creazione di un mini-sito dedicato allo show in cui venivano mostrati i trailer del programma, qualche foto del "dietro le quinte", le anteprime delle puntate, alcune informazioni sulla trama e sui personaggi e qualche gadget tecnologico (wallpaper, icone per il desktop, screensaver e widget vari) da scaricare. La parte interattiva era sviluppata attraverso dei concorsi a premi basati sulla visione del prodotto on air: le dinamiche erano quelle del "watch & win" o dell'advergame più classico, giochi interattivi per aumentare il brand awareness, generare traffico e interesse. Un esempio in Italia è stato quello per il lancio di una stagione di C.S.I. in cui gli utenti, attraverso un'applicazione web che simulava l'utilizzo del luminol, dovevano scoprire gli indizi nella stanza dove era avvenuto il delitto, oppure quello più recente relativo alla serie True Blood, dove l'utente poteva fare l'upload della propria foto per vedersela trasformare in quella di un vampiro. Giochi e intrattenimento puro, quindi.
Gli uffici marketing delle emittenti tv italiane dichiarano che la redemption di queste operazioni è sempre stata piuttosto soddisfacente, tenendo conto che si tratta di show su canali satellitari spesso tematici e che, dopotutto, si rivolgono ad una nicchia. Il ritorno delle campagne non va mai sotto le aspettative e il rapporto cost/benefit è decisamente alto, grazie anche ai bassi costi di realizzazione e produzione. Inoltre, a differenza di altri mezzi come la radio e la stampa, internet è facilmente misurabile e riesce meglio di altri a comunicare e a "dare il sapore della serie", al di là del grado di coinvolgimento dell'utente.
Se si pensa però alle potenzialità che può offrire il web, tutto questo (il mini-sito, il concorso, il basso livello di coinvolgimento, per non parlare dell'eventuale campagna banner) rappresenta ben poca cosa. E' anche vero che sulle serie tv americane il margine di libertà e di creatività per la promozione è assai limitato: da una parte è difficile competere con il livello di complessità generata dalla promozione web della versione originale (ad esempio il corto circuito realtà - finzione che è stato negli USA alla base di molti lanci di serie tv, ad esempio Lost), dall'altra i limiti imposti dalla casa produttrice madre sono sempre molto rigidi.
Fare promozione innovativa sul web presuppone anche la consapevolezza di perdere un po' il controllo del brand e dei tratti distintivi della serie per favorire il coinvolgimento e l'interazione da parte dell'utente-audience.

Le promozioni di serie tv italiane e i primi approcci sui social network
Le cose cambiano quando si tratta di lanciare e promuovere un prodotto televisivo prodotto e realizzato direttamente in Italia, dove quindi c'è la massima libertà nel poter gestire e condividere brand e contenuti della fiction. Nel caso di Quo Vadis, Baby - la serie prodotta nel 2008 da Sky e Colorado Film - l'obiettivo era differenziarlo dal classico prodotto di fiction italiana (classica, rassicurante e per famiglie), e perciò anche la strategia di lancio sul web ha avuto una dinamica piuttosto innovativa e originale per il mercato italiano. Chi si occupava della promozione web ha preferito sfruttare al massimo l'aggregazione e la diffusione dei contenuti sui social network. Punto centrale della comunicazione è stato il blog dove, attraverso la presentazione di attori, personaggi e foto dal set, veniva raccontato il mood della serie. Ogni elemento di contenuto veniva poi presentato in modo autonomo in altri "luoghi" (le foto su Flickr, le musiche su Last.fm, i video su YouTube) in modo tale da essere commentabili e scaricabili dagli utenti. Ogni personaggio della serie aveva poi la propria pagina su Myspace e su Facebook. L'idea che stava alla base di questa - e di altre strategie di altre serie che sono poi seguite - era quella di sfruttare la comunicazione orizzontale della rete, attraverso la diffusione dei propri contenuti e considerando tutti gli utenti al proprio stesso livello. L'obiettivo non era tanto quello di dirigere gli utenti verso i propri spazi, bensì di portare i propri contenuti verso gli utenti. La Rai con la sua fiction Tutti Pazzi per Amore, ha invece tentato la strada del video virale e della auto-parodia diffusa in rete sperando così di intercettare il pubblico più giovane poco avvezzo alla frequentazione del prime time domenicale su RaiUno. Campagne di lancio basate quindi sui contenuti, a bassissimo costo e che sono riuscite a far parlare della serie anche oltre l'ambito web.

E il marketing?
La cosa interessante è che tutte queste iniziative di lancio e di comunicazione sul web raramente, almeno in Italia, sono organizzati dal reparto marketing dell'emittente televisiva, bensì dagli autori della serie stessa in collaborazione con chi si occupa del sito web della rete tv o con qualche agenzia esterna. L'impressione è che il marketing tv sia ancora molto legato ai grandi numeri, ai migliaia di GRPs, al controllo totale del messaggio e, quindi, alla più sicura comunicazione ad una via. Insomma, al concetto classico di marketing.
Per chi è abituato a ragionare a milioni di spettatori o centinaia di migliaia di abbonati, risulta difficile interpretare come un successo alcuni migliaia di "amici" di una serie su Facebook o di followers su Twitter. Non è forse un caso che per Romanzo Criminale, ovvero la produzione successiva a Quo Vadis Baby, il marketing Sky abbia preferito giocare su un lancio più classico costituito da eventi ad hoc e da una cartellonistica dal contenuto poco esplicativo e molto misterioso ed evocativo (manifesti con i volti dei vari protagonisti e le frasi "Io rubo", "Io spaccio"), preferendo quindi non comunicare né condividere i contenuti della serie nella fase iniziale.
Le campagne di lancio di show tv che agiscono su più media hanno generalmente un buon impatto sulla visione del primo appuntamento (primo episodio o prima puntata dello show). Ed è proprio il web il media ideale che permette ad un costo relativamente basso di generare una forte fidelizzazione, grazie anche alla creazione di spazi che favoriscono la conversazione, la condivisione e la creazione di contenuti su più livelli, dai più sofisticati per i fan a quelli per chi richiede un livello meno complesso di informazione e di approfondimento.
Sono in molti, tra chi si occupa di marketing tv, a lamentarsi che in Italia l'utente internet non abbia ancora raggiunto un soddisfacente livello di maturazione. A parte quella nicchia nata dall'intersecazione del fan e dello "smanettone web", l'utente medio, quello che comunque vede in internet un mezzo preferenziale per soddisfare il proprio bisogno di informazione-comunicazione, non ha ancora un livello di evoluzione tale da permettergli un forte engagement sul web. Ad oggi il coinvolgimento dell'utente internet è da ascrivere al puro passatempo e non raggiunge i livelli di complessità di certe attività promozionali su web, come accade ad esempio negli Stati Uniti.

A piccoli passi Quel che accade oltreoceano
Un caso recente e significativo è quello ideato dalla CBS e dalla EQAL, società di produzione di serie sul web autrice di successi mediatici come lonelygirl15, per il lancio della serie tv Harper's Island. Il progetto in questione è Harper's Globe, una sorta di social show che realizza una completa integrazione tra media tradizionali, promozione online e spin off digitali. L'idea della CBS era quella di avere una potenziale esperienza in rete che facesse da lancio a quella televisiva e che contemporaneamente la arricchisse di contenuti sociali, senza però cannibalizzare il potenziale pubblico della tv (1). La serie per il web racconta di una ragazza che tiene un videodiario online del suo nuovo lavoro, ovvero quello di andare a catalogare i numeri del quotidiano Harper's Globe su una strana isola che sarà teatro anche della controparte televisiva. Come successe per lonelygirl15, anche questa mini serie parallela gioca sull'ambiguità e sul corto circuito ficiton - reale: si gioca sul patto narrativo che i protagonisti vivano sul serio, e che quindi possano rispondere ai commenti degli utenti, postare su Twitter, caricare i propri video su YouTube, insomma, inserirsi nel flusso delle informazioni da social network di ogni spettatore il quale può decidere il livello di approfondimento a cui far riferimento.
In questa operazione l'obiettivo di CBS era quello di utilizzare il web non solo come supporto media per il lancio o come una seconda finestra di contenuti, ma per sperimentare un possibile utilizzo di social tv, attraverso l'integrazione massima tra tv e social network. Ad un certo punto della serie web c'è un vero e proprio incrocio con la serie tv: la protagonista della serie chiede direttamente aiuto agli utenti per poter ottenere l'attenzione allo sceriffo (personaggio sia della serie web che di quella tv), ricevendo migliaia di messaggi e soluzioni per la storia che hanno in seguito cambiato il corso degli eventi. Anche la canadese CBC ha creato un prequel interattivo sul web per il lancio della serie Being Erica in cui la protagonista si presenta e interagisce direttamente con gli utenti.
Quello che si evince da questi esempi è che le nuove operazioni promozionali a supporto di una serie giocano più su elementi narrativi piuttosto che sui caratteri tipici del brand e del prodotto tv.
Sempre più il marketing tv dovrà iniziare a confrontarsi con l'universo narrativo delle storie che deve promuovere, facendo sempre più ricorso a nuove forme di collaborative autorship tra autori e fruitori, costruire nuove storie interattive e augmented reality.
La scommessa oggi è quella di non valutare solo l'uso univoco della promozione. L'utilizzo del web permette di far nascere qualcosa di nuovo, forme innovative di narrazione. L'impegno è quello di creare presupposti e contesti per poter far scatenare la fantasia degli utenti, sempre più attori principali nel processo di condivisione e creazione.

L'immaginario e lo storytelling come marketing tool
"L’industria dell’immaginario è la più importante che ci sia oggi. Il cambiamento è fondamentale: il pubblico non è più passivo, ma attivo generatore di immaginario. Al centro c’è sempre la televisione e i vecchi media. Non facciamo fughe in avanti, altrimenti si rischia di non fare mai i soldi. Ma è chiaro che la novità consiste in questo: la televisione ha sempre pensato alla maggioranza del pubblico, ma ormai deve imparare a corteggiare i nativi digitali. Per noi l’imperativo categorico è imparare a fare televisione con le regole dei videogiochi e con la ricchezza di quello che viene da internet per trovare storytelling che possano fare fatturato. Lo storytelling necessario per fermare il tempo dell’attenzione del pubblico" (2)

Ed è proprio sull'immaginario che i tipi del network AMC hanno basato il lancio della seconda e della terza stagione di Mad Men.
Attraverso un'oculata strategia di comunicazione 2.0, composta da blog, social network, giochi interattivi e contest per entrare nel cast sono riusciti a far rivivere i personaggi e l'ambiente della New York anni 60, quella degli albori della pubblicità e della società di massa. La creazione così precisa e articolata di immaginario ha fatto scatenare i fan i quali, in buona fede, hanno creato degli account di Twitter dei vari personaggi della serie facendoli vivere al di là dello schermo tv e creando un puro esempio di fan fiction 2.0.
Quando queste nuove narrazioni di tipo partecipativo si avvicinano al marketing, all'advertising e alle altre forme di narrazione al servizio della promozione, della comunicazione o della diffusione di un brand, le loro caratteristiche e le loro modalità di ideazione e fruizione cambiano immediatamente aspetto e si connotano diversamente. Tale forme permettono di differenziarsi dal mare magnum di messaggi promozionali, puntando sulla creazione di un legame emozionale e su forme di fidelizzazione alternativa nella creazione di messaggi ed eventi che trasformano i messaggi in racconti o in porzioni ricostruibili di racconto. (3)

In conclusione
Ritorniamo a questo punto alla fatidica domanda: queste operazioni hanno un'effettiva efficacia sul programma tv? La risposta è: no e sì. No, se vogliamo rimanere ancorati al vecchio concetto di marketing legato a grandi numeri, budget e performance roboanti, a target monodimensionali e a comunicazioni a una via. Diverso è se riteniamo che (questo) "marketing è morto perché sono esaurite le due condizioni che lo nutrivano: primo, che le persone non potessero parlare facilmente e direttamente loro, secondo, che il canale di trasmissione fosse concentrato, semplice e direttamente controllabile" (4). Se poi vogliamo vedere in faccia la realtà che è fatta di audience frammentate e moltiplicate, di forte polarizzazione tra infedeltà e fandom nei confronti dei programmi tv e di convergenza massima tra i mezzi, allora un utilizzo intelligente del web può avere delle ripercussioni positive sulla awareness e sull'audience del programma tv.
Per fare in modo che tutto questo funzioni davvero è necessario ragionare in piccolo, con un budget basso, lasciando libera una parte di controllo del brand, permettendo operazioni di hijack e brand advocacy da parte degli utenti/spettatori. Può essere un processo faticoso e di lungo periodo, lontano dai risultati immediati di certe campagne old media, ma che può generare valore al di là della promozione diretta al programma.
E, magari, fare in modo che il 'Marketing' di un network tv diventi la nuova 'Ricerca & Sviluppo'.

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Note
(1) G. Niola, "WebTheatre / La prima serie veramente social" su www.punto-informatico.it , 9 aprile 2009
(2) C. Freccero, atti del convegno "Digital Content Summit" - Milano, 24 giugno 2009
(3) M. Giovagnoli "Cross-media. Le nuove narrazioni" di Max (Apogeo), p.127
(4) G. Diegoli "[mini-marketing] 91 discutibili tesi per un marketing diverso" (Simplicissimus Book Farm), Tesi n.1, p.3

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