: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.
Quando i social media diventano una palla al piede per i marchi
ITALIC - Aprile / Maggio 2012
I media digitali cercano un posto in azienda. Della loro importanza e della necessità di integrarli agli altri strumenti di comunicazione
si è già scritto molto. In breve: tutto il mondo del marketing (e non) sta acclamando un passaggio paradigmatico, dall'era della consumatore all'era della relazione.
I media tradizionali arrancano, l'audience cala e giocare sui “grandi numeri” non ha più lo stesso valore. Con il tempo ci stiamo dimenticando delle vecchie abitudini, dalla manipolazione delle notizie alle continue interruzioni pubblicitarie per catturare l'attenzione del pubblico. Ma siamo andati anche oltre: oggi la costruzione della marca non dipende più esclusivamente dalla comunicazione, ma dall'essenza che l'azienda trasmette di continuo attraverso rapporti con clienti, consumatori, fornitori, azionisti e stakeholders di ogni tipo.
Relazione, appunto. Che poi genera reputazione.
Sempre meno si parla di target e clienti, sempre più invece di comunità che - come diceva Mark Zuckerberg, ideatore di Facebook - “non si creano, esistano già e fanno ciò che vogliono”. I social network hanno decisamente accelerato l'esplosione delle community: le aziende intessono conversazioni, intercettano interessi, introducono nuovi argomenti e soluzioni, si pongono come
opinion leader del loro settore . Anche perché il dialogo in rete permette loro di vendere prodotti e servizi.
Una relazione complicata
Che le aziende vogliano relazionarsi, sappiano gestire le conversazioni e abbiano davvero argomenti e contenuti da condividere non ci interessa. Facciamo finta che il problema sia superato e che non si ripeti quella situazione tipica della seconda metà degli anni Novanta quando le imprese volevano “essere in Rete” e “avere un sito” solo per esserci. Facciamo finta che le aziende di oggi abbiano la piena consapevolezza dei meccanismi di base, obiettivi ben precisi e strategie chiare - sappiamo che non è propriamente vero, e lo vedremo dopo.
Il problema da affrontare è un altro, ed è di natura squisitamente tecnica. Oggi la vera sfida per le aziende è quella di mantenersi tecnologicamente aggiornate sia
nella qualità della comunicazione sia nella scelta dei
media.
Essere presenti sui principali social network non basta, neppure sviluppare la versione
mobile del proprio sito, se non addirittura l'app sulle principali piattaforme. Il problema è tenere sempre il passo con gli aggiornamenti di sistema, con i nuovi
device disponibili sul mercato o con i neonati social network che nascono come funghi e saper rispondere in modo efficace ai cambiamenti imposti dalla tecnologia. Nessun brand vuole restare indietro e apparire arretrato quando comunica in ambiente digitale. Ma è qui che nascono i primi guai.
Un paio di mesi fa Facebook ha esteso la
timeline (la nuova visualizzazione “a diario” della bacheca) anche per brand e aziende, rivoluzionando completamente l'esperienza di navigazione nel social network. Il cambio ha richiesto ai brand una profonda riflessione strategica di presenza sul social media che ha coinvolto tutto il marketing e non solo la parte digitale.
Il nuovo iPad, con l'innovativo display Retina, ha causato nei primi mesi di uscita del mercato un discreto caos tra i
content provider (chi fornisce i contenuti), pubblicitari e gli sviluppatori che non erano riusciti per tempo ad aggiornare le proprie applicazioni con il nuovo sistema. Lo sgradevole risultato sono state immagini sgranate e poco nitide su uno schermo in altissima definizione.
Per non parlare dei social network da poco arrivati sul mercato e già sulla bocca di tutti (Pinterest, Path) oppure della “rivoluzione estetica” portata da applicazioni fotografiche come Instagram che costringono i brand a rivedere la propria immagine passata, presente e futura.
Tenere il tempo
L'immagine, l'identità visuale e il posizionamento sono tutte decisioni strategiche che un tempo le aziende prendevano una volta ogni 4-5 anni. Oggi le società sono costrette a modificare i propri piani di comunicazione e tattiche aziendali - se non addirittura le strategie - due-tre volte all'anno, ovvero ogni qual volta si presenta l'esigenza di modificare l'hardware o le applicazioni della comunicazione digitale.
Insomma, siamo di fronte a un mondo a due velocità: quello aziendale classico che vive di piani a medio-lungo termine, e il mondo digitale che viaggia a ritmi forsennati e spesso insostenibili, specialmente per i gruppi di medie-grandi dimensioni.
Osservando i comportamenti delle aziende che operano sul mercato, l'impressione è che tutta questa dimensione
digital rappresenti sempre più un problema piuttosto che un'opportunità: soluzioni e applicazioni che potrebbero semplificare e ottimizzare processi e modalità di comunicazione, alla fine si rivelano il tipico bastone che impedisce alle ruote di girare con regolarità.
Ad aggravare il tutto, in buona parte delle aziende italiane, c'è anche un approccio poco strutturato alla materia. Lo si evince dai risultati di un'indagine condotta in Italia da Aidim (Associazione per il Direct Marketing), Anved (Associazione Nazionale Vendite a Distanza) e la società di marketing eCircle, basata sui pareri di 315 responsabili marketing e direttori commerciali di aziende italiane operanti nei principali settori (servizi, abbigliamento, turismo, bancario, assicurativo, Information Technology, e-commerce, editoria, pubblicità e comunicazione) sull'utilizzo dei social media.
I social media sono considerati strumenti molto utili per aumentare l'interazione con i consumatori e per raccogliere opinioni/feedback sul brand o sui relativi prodotti, ma mancano strategie chiare per utilizzarli efficacemente con l'obiettivo di raggiungere concrete opportunità di business. Il 75% degli interpellati li impiega per obiettivi generici e poco focalizzati (generalmente aumento dell’interazione con i consumatori, raccolta di opinioni/informazioni). Il resto dichiara di non usare ancora i social media per mancanza di una strategia chiara. Lo sforzo aziendale è ancora piuttosto contenuto: solo il 54% degli operatori ha almeno una risorsa interna dedicata e solo il 30% richiede il supporto di risorse esterne (agenzie specializzate).
Lo spazio
social viene aggiornato regolarmente solo dal 58% delle aziende. Il livello di soddisfazione infine è piuttosto moderato: solo l’8% delle aziende conferma di aver centrato i propri obiettivi. Il 19% dei rispondenti non ha alcun obiettivo quantitativo specifico per questa attività.
Un'altra ricerca, quantitativa, condotta dallo IULM su 720 aziende italiane, conduce più o meno alle stesse conclusioni. Dall'analisi dell'utilizzo dei social media delle imprese italiane si evince una sostanziale
Social Media Inability, come la chiama Pierluca Santoro sul suo
Il Giornalaio , uno dei blog di riferimento sulla cultura della comunicazione digitale.
Santoro parla “di un approccio culturale ed organizzativo inevitabilmente orientato al breve periodo che ha ricadute sulla capacità di comunicazione, di proposizione da parte delle aziende”. La colpa sarebbe sopratutto dello stuolo infinito di sedicenti web agency sul territorio che propongono la “paginetta e la app per Facebook con comodo pagamento dilazionabile a soli 120€ al mese” ingannando pro domo propria imprese ed imprenditori sui possibili risultati derivanti .
Ma la “colpa” di questa sostanziale “inability” è anche riconducibile al sostenuto e insostenibile ritmo (e spesso neppure richiesto dal mercato) delle innovazioni tecnologiche e di piattaforma sul web. Novità che le aziende, ogni trimestre, sono costrette ad affrontare.