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Gli allegati di EmmeBi Blog: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.

Monday, December 13, 2010

 
KOTLER E' MORTO

Campagne a pioggia che colpiscono comunità indistinte. Target tanto specifici da avvicinarsi all'insieme vuoto. Banner che sovrastano le informazioni utili. Virali che incuriosiscono al primo ascolto, annoiano al secondo e indispettiscono di lì in avanti.
Consumatori sempre più decisi a farsi a farsi sentire. Prosumer, consum-attori e altri mostri mitologici. Se già prima il marketing era una un casino, ora si rischia davvero la paralisi.
Allora meglio fermarsi, mettere in fila i puntini, e magari andare in direzione opposta al senso comune.



LINK MONO - Dicembre 2010 (qui in pdf)



Tesi #20 Le aziende devono capire che i loro mercati ridono spesso. Di loro.
Gli anni Zero del marketing iniziano in realtà nel 1999 con la pubblicazione - prima online poi su libro - del Cluetrain Manifesto (1), 95 tesi che annunciavano e analizzavano l'onda anomala di cambiamenti che avrebbe investito il “mondo connesso”.
Sulle prime sembrarono solo una serie di irriverenti e provocatorie affermazioni enunciate da ispirati e radicali economisti e futurologi sul futuro di internet e su come il web avrebbe cambiato il linguaggio e la comunicazione delle aziende e dei mercati. Con il passare del tempo si è capito che quelle tesi avevano in realtà tracciato il percorso verso la trasformazione e la morte del marketing tradizionale as we know it.
Nel corso degli anni ci siamo accorti che le radicali riforme non riguardavano solo internet e i mercati in rete, ma si estendevano anche al mondo offline, al funzionamento delle aziende, al loro rapporto con le persone (consumatori “evoluti”, cittadini, dipendenti ma, sopratutto, nuovi comunicatori), all'advertising classico e all’ottusità di un certo management incapace di sviluppare rapporti più aperti e democratici fra impresa e società. Del resto è anche vero che in questi dieci anni internet si è sempre più infiltrato all'interno dei processi decisionali e operativi delle organizzazioni e delle persone, al punto da cambiare i paradigmi dell'economia reale, anche quella non direttamente correlata alla rete.
Le radicali tesi del Cluetrain Manifesto ci guideranno in questa breve analisi per capire come il marketing tradizionale si sia piegato - o comunque sia profondamente mutato - di fronte a una nuova complessità.

#71Le vostre vecchie idee di "mercato" ci fanno alzare gli occhi al cielo. Non ci riconosciamo nelle vostre previsioni – forse perché sappiamo di stare già da un’altra parte.
#72 Questo nuovo mercato ci piace molto di più. In effetti, lo stiamo creando noi.
#73 Siete invitati, ma è il nostro mondo. Levatevi le scarpe sulla soglia. Se volete trattare con noi, scendete dal cammello.
In questi dieci anni il cambiamento più interessante è stato forse quello che si è sviluppato dal lato della domanda. Quello che un tempo si chiamava “consumatore”, e sul quale il marketing ha basato gran parte dei propri successi, supposti teorici e applicazioni pratiche, si è in realtà evoluto, potenziato, si è svincolato dalla passività in cui era relegato, si è fatto più intelligente e ha iniziato ad avere un ruolo attivo nella catena del valore. Il consumatore è diventato persona: multidimensionale, sfaccettato, informato, coscienzioso, spesso indipendente, critico, mutante e connesso. Più che maturo, complesso. In pratica, difficile da inquadrare. Magari non è diventato (ancora) il “prosumer” - come aveva preconizzato già negli anni 70 il futurologo Alvin Toffler nel suo Future Shock (2), ovvero un utente/cliente che assume un ruolo attivo nel processo che coinvolge le fasi di creazione, produzione e distribuzione e consumo - oppure il consumAttore, consumatoRe, consumAutore o altre nomi inventati da sociologi ed economisti con la passione per la Settimana Enigmistica e per i giochi di parole. Comunque qualcosa è cambiato. La collaborazione tra produttore e consumatore di cui tanto in questi anni abbiamo sentito parlare, solo in pochi e rari casi ha creato qualcosa di nuovo e duraturo, funzionale e profondo. Anzi, a posteriori possiamo dire che certi fenomeni come il crowdsourcing o il citizen journalism sono stati spesso utilizzati dal management come marketing tool per ribadire ancora una volta, paradossalmente, l'egemonia delle piramidi aziendali e delle dinamiche top down. Una sorta di “contentino” per i clienti più affezionati. “Non abituatevi, però. Il pallino continuiamo a tenerlo noi”.


#77 Siete troppo occupati nel vostro business per rispondere a un’email? Oh, spiacenti, torneremo. Forse.
#78 Volete i nostri soldi? Noi vogliamo la vostra attenzione.
Quello che è chiaro è che, grazie alla rete, si è creata una forte connessione tra le persone. Senza bisogno di alcuna sovrastruttura (associazioni di consumatori e simili), ma solo attraverso le conversazioni in rete (#1 I mercati sono conversazioni), gruppi di persone/utenti di internet/consumatori sono riuscite a incidere sul mercato, prestando attenzione e rispondendo direttamente, chiedendo direttamente alle aziende di modificare i prodotti, denunciando le ingiustizie, premiando le aziende dai comportamenti virtuosi o dai prodotti eccellenti. (#83 Vogliamo che prendiate sul serio 50 milioni di noi almeno quanto prendete sul serio un solo reporter del Wall Street Journal).

#2 I mercati sono fatti di esseri umani, non di segmenti demografici.
#86 Quando non siamo occupati a fare il vostro "mercato target", abbiamo anche una vita.

Ma il vero cambiamento in questo senso è stata la sostanziale perdita di valore strategico e operativo del Target, uno delle leve cardine del vecchio marketing mix su cui si basavano gran parte delle strategie e delle pianificazioni aziendali. Possiamo dire che questo retaggio di strategia militare applicata al mercato che mira a raggiungere e centrare un bersaglio ben preciso, di fronte a uno scenario e a una domanda così complessa e stratificata, ha ormai i giorni contati. “Il raggiungimento del target, in sostanza altro non è che il suo isolamento, attraverso la privazione del suo capitale sociale, al di fuori del suo contesto di vita, e sopratutto al di là del suo carattere che non può certo essere ricondotto ad un profilo standard” scrive il sociologo Francesco Morace nel suo blog PreVisioni e PreSentimenti “Ciò che interessava al marketing tradizionale era lavorare in un’economia di scala, attraverso l’annullamento del carattere personale, sostituito da individui singoli e isolati: target pronti per una strategia one-to-one, nel senso di una guerra chirurgica con ogni singolo consumatore, che in realtà è impossibile adottare per evidenti asimmetrie e dispendi di energie. La rete ha permesso la rivolta dei target e ha reso inutilizzabili i vecchi strumenti. In questa ottica il consumatore diventerà un nemico: sarà un re, e rimarrà al centro delle preoccupazioni aziendali, fino a quando ci si accorgerà che è un re che comanda in un paese nemico”.
E' evidente che in questa situazione i rischi sono maggiori delle opportunità.
Ecco che per il marketing aziendale diventa necessario abbandonare strumenti prescrittivi e di analisi passivi dei soggetti-consumatori. Anche perché, come si è visto, il pubblico è già più avanti e, in gran parte, ha ampiamente superato il rischio di passività.
Le persone scelgono, lo fanno a ragion veduta, redistribuendo le proprie risorse in alcuni consumi e non su altri, seguendo le proprie vocazioni e le proprie passioni, preferenze e priorità personali: anche il disinvestimento, in periodi di recessione, è avvenuto in modo non omogeneo sul proprio standard di consumo - certi prodotti del cosiddetto “lusso” o comunque premium price non hanno affatto subito il periodo di crisi - sfuggendo alle logiche tradizionali a cui non siamo abituati e che quindi non vengono comprese.
Tutto questo porta a un'altra serie di considerazioni e riflessioni sull'inefficacia e sulla sostanziale inutilità delle segmentazioni e delle canoniche ricerche di mercato, elementi di un armamentario marketing polveroso e obsoleto che, di fatto, banalizzano le persone e le loro scelte.
Un esempio, per capirci. Oggi il low cost non rappresenta più la bassa qualità del prodotto e del servizio e, come logica conseguenza, anche un consumatore di basso profilo socio-economico: i casi sono sotto gli occhi di tutti, dall'abbigliamento (Zara, H&M, ma anche gli outlet) ai viaggi (Ryan Air e le altre compagnie no-frills) per passare attraverso il retail alimentare (gli hard discount non hanno più quell'aspetto neopauperistico degli esordi). Insomma, è completamente saltato quel rapporto costo/prezzo/beneficio/valore sul target sul quale si basavano le consuete equazioni del marketing classico.
Tutto questi elementi portano a un punto di arrivo sostanziale, ovvero l'impossibilità oggi da parte dei marketers di controllare perfettamente i propri marchi e i propri prodotti. E quando diciamo controllare, intendiamo anche misurare con una certa precisione le performance sul mercato. I mercati oggi sono così complessi, ibridi, multifaccia e connessi con mille altre inaspettate realtà, da essere difficilmente analizzabili. Prendiamo ad esempio la tv: oggi il successo di un programma tv che aspira a diventare brand non si può valutare solo dall'analisi della curva d'ascolto tv o dello share. E' necessario invece verificare il buzz che si sta creando intorno al programma, le conversazioni online, i downloading - anche quelli illegali - , i frammenti video su YouTube, l'evoluzione del ciclo di vita del prodotto. E non sempre questi dati sono facili da valutare e, sopratutto, sintetizzare, aggregare e inserire nelle presentazioni in Power Point.


#17 Se le aziende pensano che i loro mercati siano gli stessi che guardavano le loro pubblicità in televisione, si stanno prendendo in giro da sole.
#74 Siamo immuni dalla pubblicità. Semplicemente dimenticatela.
Non è questa la sede per poter mostrare mille tabelle e numeri e ricerche (e poi, con quello che è stato scritto prima, sarebbe come darsi la zappa sui piedi), però è indubbio che il modello di comunicazione di massa rappresentato dalla pubblicità classica, fortemente basata su evocazioni e su consumi aspirazionali, si stia esaurendo. E non è un caso che alcuni settori che basavano su questo modello gran parte del loro successo (quello dei marchi fashion, in primis) siano alla fine quelli che hanno maggiormente accusato il clima di recessione. E non è solo un problema di marketing convenzionale e non convenzionale: in realtà il cambiamento di paradigma è più profondo. In questi dieci anni il passaggio è stato da “parlare al target” a “trovare modi di generare conversazioni”. Non è tanto il cosa, ma il come comunicare.

#68 Il linguaggio tronfio e gonfio con cui parlate in giro – nella stampa, ai congressi – cosa ha a che fare con noi?
#69 Forse fate una certa impressione sugli investitori. Forse fate una certa impressione in Borsa. Ma su di noi non fa alcuna impressione.
#70 Se non fate alcuna impressione su di noi, i vostri investitori possono andare a fare un bagno. Non lo capiscono? Se lo capissero, non vi lascerebbero parlare così.
Il tono di voce, il modo di parlare delle aziende attraverso le loro comunicazioni, corporate o advertising, è stato uno dei punti su cui gli autori Cluetrain Manifesto hanno particolarmente insistito. Uno dei motivi per cui la collaborazione tra aziende e clienti non è andato a buon fine è anche dipeso dall'alfabeto usato nella comunicazione, dal tone of voice, appunto. Spesso ridondante, autoriferito e autocelebrativo, un soliloquio più che un dialogo. In fondo, se guardiamo anche nel passato, il marketing ha sempre chiesto e preteso molto, ascoltando poco.
Oggi invece l'ascolto diventa il valore fondante del marketing e, in un certo senso, anche dell'advertising. Se il marketing riesce davvero a dialogare in modo naturale con il proprio pubblico, allora si può iniziare a parlare davvero di co-creazione. Ma prima di questo c'è da risolvere un'ultima cosa.


#28 Molti programmi di marketing si basano sulla paura che il mercato possa vedere cosa succede realmente all'interno delle aziende
#82 Il vostro prodotto si è rotto. Perché? Vorremmo parlare col tipo che l'ha fatto. La vostra strategia aziendale non significa niente. Vorremmo scambiare due parole con l'amministrazione delegato. Che vuol dire che “non c'è”?
Bernard Cova e Olivier Badot nel 1992 sul loro libro “Le neo-marketing” preconizzarono che nei prossimi decenni il marketing si sarebbe trasformato in societing, prevedendo che il mercato non avrebbe rappresentato più l'aspetto focale per le aziende, ma un marketing sempre più consapevole si sarebbe rivolto alla società nel suo complesso.
Per far si che questo accada è necessario che le aziende si aprano al mondo, diventino trasparenti, costruiscano modelli che rafforzino le verità dei prodotti e dei processi, sia nel loro comportamento sia nelle loro comunicazioni. Ed è evidente che con la rete le persone riescono subito a riconoscere un modello e un approccio autentico, aperto e trasparente.
(#95 Ci stiamo svegliano e ci stiamo linkando. Stiamo a guardare, ma non ad aspettare)

La morte (naturale) del marketing vecchio stile, quello delle ricette con un nome ben specifico, una confezione e una sequenza ben precisa di azioni, la si è intuita a metà degli anni Zero, con l'uscita di un libro che ha evidenziato perfettamente la difficoltà di reazione e di approccio di fronte al cambiamento.
Il libro si intitola “Chaotics. Gestione e marketing nell'era della turbolenza” ed è stato scritto da Philip Kotler, autore di quel Marketing Management che è stata la bibbia teorica e pratica dell'approccio al mercato. Nel libro Kotler (insieme a John A. Caslione) cerca di affrontare il tema del caos e della discontinuità, ma alla fine il tutto si risolve nella vecchia e banale ricetta che viene dal passato, con ingredienti molto comuni, usati e ovvi (Chaotics Management System). Insomma, un metodo. E non è certo con un metodo che si può affrontare il caos o le situazioni di grande complessità, non è trattando temi come la sostenibilità o responsabilità alla stregua di opzioni tattiche e operative (#80 Niente paura, potete ancora fare soldi. A patto che non sia l'unica cosa che avete in mente) che riesci ad affrontare le nuove sfide, e non è nemmeno considerando l'ascesa di giganti come Cina, India e Brasile come delle semplici variabili di turbolenza dell'economia che analizzi il quadro generale. Insomma, da quel libro si evidenzia una forte miopia del marketing che per anni ha sostenuto una semplificazione che non corrispondeva alla realtà. E che di fronte alla complessità e al caos si è trovato spiazzato e disarmato.

Il marketing as we knew it, in fondo, è stato costretto a morire e rinascere, proprio perché ha sbagliato le proprie previsioni. Ha preconizzato l'egemonia dell'one-to-one e invece ha vinto il many-to-many; ha puntato tutto sulla visibilità del brand ma il mercato ha risposto preferendo la reputazione; ha indicato la comunicazione virale come modalità più efficace per coinvolgere i consumatori più evoluti che invece hanno reagito difendendosi dal contagio.
Il marketing ha voluto farci credere che i brand di culto nascono dall'amore nei confronti dei consumatori o solo coinvolgendo le comunità raccolte attorno ad essi (è il caso di Lovemarks, teoria e libro di Kevin Roberts (5) ceo worldwide dell'agenzia pubblicitaria Saatchi & Saatchi). Invece il successo di Apple, Google ma anche, pescando dal passato, della Nutella o delle scarpe Camper, è dato solo dall'ingegno e dalla creatività applicata al prodotto, insieme alla capacità di guardare al di là del consumatore. L'amore è quello per l'idea, per il sogno innovativo. Il consumatore viene dopo.
Mistificazioni e omologazioni come queste oggi non sono più ammesse.
(#26 Le aziende hanno una paura tremenda dei loro mercati)


(1) Cluetrain Manifesto. The end of business as usual – Rick Levine, Christopher Locke, Doc Searls, David Weinberger - Curato e tradotto da Antonio Tombolini – Fazi Editore (2001)
(2) Lo choc del futuro – Alvin Toffler – Sperling & Kupfer (1998)
(3) http://francescomorace.nova100.ilsole24ore.com/
(4) Chaotics. Gestione e marketing nell'era della turbolenza - Philip Kotler, John A. Caslione – Sperling & Kupfer (2008)
(5) Lovemarks. Il futuro oltre il brand - Kevin Roberts – Mondadori - 2005

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