: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.
Un libro per non annegare nel mare della comunicazione moderna
Il Foglio - 23 novembre 2010
Una delle tante anomalie dei manager italiani è la distanza siderale con il mondo educational. In Inghilterra e negli USA molti manager superpagati con ruoli chiave in grosse corporation considerano la scrittura di un libro dedicato alle giovani generazioni che si affacciano al mondo del lavoro come una tappa fondamentale della loro carriera. Un segno di umiltà e, al tempo stesso, di prestigio.
Per non parlare poi delle attività accademiche che non siano semplicemente quelle di testimonial per presentare la case history di successo della propria azienda o attività di recruiting di nuovi laureati.
Il caso di Stefano Lucchini e Gianni Di Giovanni, che oggi ricoprono i due ruoli principali della comunicazione del gruppo Eni (rispettivamente Relazioni Istituzionali e Comunicazione Esterna), rappresenta invece una felice eccezione nel panorama manageriale italiano. Nelle scorse settimane è uscito per Fausto Lupetti Editore “Niente di più facile, niente di più difficile - Un manuale (pratico) per la comunicazione”. Di Giovanni e Lucchini, oltre ad avere una più che ventennale esperienza professionale nella comunicazione di importanti aziende italiane (Enel, Telecom Italia, Gruppo Banca Intesa, Wind), hanno anche un solido legame con il mondo accademico come docenti presso l'Università Cattolica di Milano. Il libro è un utile e conciso manuale che offre un ventaglio completo di strumenti e indicazioni pratiche su come si svolge il mestiere del comunicatore oggi in Italia, unendo competenze tecniche e “how to” sulle principali forme di comunicazione aziendale a riflessioni di buon senso e osservazioni ricavate dal mondo reale.
Un signore che sta per annegare in un bicchier d'acqua è l'efficace immagine-metafora che fa da copertina al libro: l'acqua evidentemente rappresenta la comunicazione in cui tutti noi siamo immersi e che permea le nostre vite professionali e personali. La forza di questo libro è quello di aggregare in un unico discorso le regole della comunicazione, la logica dei media italiani e le strategie dell’azienda. E' quindi un manuale utile per chi approccia al mondo della comunicazione, ma anche per chi c'è dentro da tempo e si è dimenticato per strada i fondamentali. E purtroppo quest'ultima categoria è sempre più vasta: non passa giorno infatti di vedere comunicati stampa scritti con i piedi, eventi che non hanno niente da comunicare, responsabili di P.R. senza tatto o addetti stampa incapaci di gestire una situazione di emergenza.
Mai come in questi tempi è necessario saper comunicare, ma per motivi del tutto diversi rispetti a quelli degli anni '80 -'90. Allora il postmoderno dava la possibilità di mescolare le carte: pubblicità e comunicazione corporate, rappresentazione e veridicità. La crisi che stiamo attraversando e che molti descrivono come una crisi di fiducia, è in realtà – più semplicemente – una crisi di verità. Oggi quindi il comunicatore (d'azienda, di istituzioni o associazioni) è chiamato ad acquisire credibilità e autorevolezza e diventare presso l'opinione comune sempre più un fornitore di contenuti attendibili e carichi di verità.
La comunicazione è, tipicamente, un processo dinamico, circolare e interattivo e oggi lo è ancor di più perché - grazie a internet - non solo gli stakeholders (ovvero le persone che sono coinvolte nel processo aziendale e che, più o meno direttamente, sono in grado di influenzarne gli esiti) ma anche i semplici clienti e consumatori hanno il controllo dell'informazione e sono in grado di influenzare l'opinione pubblica.
Non a caso alla comunicazione online viene dedicata un ampio capitolo che, all'interno del libro, rappresenta la parte meno manualistica e più saggistica, proprio per evidenziare le complessità e la mancanza di buone pratiche e consuetudini da consigliare.
Gli autori sono i primi a rilevare che le nuove tecnologie disponibili su internet (social network, blogging, twitter, etc..) stanno profondamente mutando il panorama produttivo e sociale e quindi anche informativo. Nel libro si evidenziano tutti i pregiudizi, spesso superficiali, che l'editoria tradizionale e una parte dell'opinione pubblica hanno nei confronti dell'informazione online e del web 2.0 - spesso inaffidabile, autoreferenziale e parassitario nei confronti dei media cartacei – ma si rileva anche le mille opportunità che sia le testate sia le aziende possono sfruttare per ampliare e migliorare la propria forza comunicativa.
Quello che si accenna soltanto nel libro, per evidenti motivi di spazio, riguarda le possibili forme di ascolto, collaborazione e dialogo offerte dalla rete, anche con chi esprime il dissenso, e che rappresenta il nuovo paradigma che oggi le aziende – troppo abituate a una logica di controllo e stabilità – non riescono ancora a gestire (a tal proposito consiglio di leggere l'efficace “World Wide We” di Mafe De Baggis – Apogeo Editore).
Ma questo gli autori del libro lo sanno bene, essendo Eni una delle aziende a livello mondiale che meglio si sta muovendo in rete: solo pochi giorni fa è stata pubblicata la H&H Webranking, la classifica dalla società svedese Halvarsson & Halvarsson dove il cane a sei zampe si è aggiudicato per il terzo anno consecutivo il titolo per la migliore comunicazione finanziaria online.
Il libro si conclude con alcune interessanti testimonianze riferite a casi concreti di chi si è trovato a decidere e a gestire situazioni comunicative complesse, manager e professionisti di importanti aziende come Federico Fabretti del Gruppo Ferrovie dello Stato e Patrizia Vellecchi di Telecom Italia.
La Guerra Giocata
Esce - in contempranea mondiale, come fosse un film - il settimo capitolo dela saga di Call of Duty: lo sceneggiatore è quello di Batman Begins, le voci appartengono a Ed Harris e Gary Holdman.
GQ - Novembre 2010
Il loro nome in gergo è “sparatutto” (Shoot 'em up) e, più precisamente, “Sparatutto In Prima Persona” (abbreviato con l'acronimo FPS, dall'inglese First Person Shooter), che sta per indicare quei videogiochi in cui l'azione predominante è sparare con armi varie ai nemici, il tutto con una visuale di gioco in soggettiva. Ma nel caso di Call of Duty parlare di sparatutto non rende completamente giustizia al gioco.
Call of Duty è una delle saghe più longeve e amata nel campo dei videogiochi, giunta ormai al settimo capitolo. L'ultimo (Call of Duty: Black Ops) uscirà in tutto il mondo il 9 novembre per Activision Blizzard. La storia è, come nei precedenti capitoli, ambientata in piena Guerra fredda, alla fine degli anni '60, ed è incentrato sulle vicende di alcuni membri del SOG (Studies and Operations Group), un gruppo di soldati americani specializzati nella risoluzione di missioni altamente pericolose e rischiose in varie aree di guerra come Vietnam, Laos e i monti Urali.
La cosa straordinaria di Call Of Duty, che sorprende anche i non appassionati abituali di videogame, è la spettacolarità del gioco e la grafica così sofisticata al punto che a volte sembra di essere all'interno di un film di guerra. E non è certo un caso. Per la prima volta la software house Treyarch (che ha realizzato il gioco) ha infatti utilizzato un nuovo sistema di motion capture in grado non solo di registrare i movimenti del corpo, ma anche le espressioni facciali e la voce, tutto simultaneamente, riducendo così il numero di passaggi richiesto per la recitazione virtuale, aumentando fluidità e realismo delle scene. Ma non basta. Ad occuparsi dello script è stato chiamato David S. Goyer, soggettista e sceneggiatore di Batman Begins e Il Cavaliere Oscuro per il cinema, e per dare voci ai protagonisti sono stati coinvolti attori quali Ed Harris e Gary Oldman.
Insomma, la creazione di un nuovo ibrido tra videogioco e cinema sta prendendo forma.
Non si tratta certo cinema per famiglie: il sangue invade spesso la visione soggettiva e i violenti smembramenti dei nemici sono frequenti, così in Giappone il videogioco sarà venduto con la fascia “Cero Z” equivalente ad un “solo per adulti”.
Come tutti i prodotti Hollywood che si rispettino anche Black Ops conterrà dei contenuti speciali, una sorta di “scene tagliate” in cui il giocatore sarà impegnato a respingere orde di nemici, che hanno questa volta l'aspetto di zombie assetati di sangue.
La novità tecnica del gioco è che, oltre al gioco da soli, è prevista una vasta sezione multiplayer attraverso cui gareggiare con altri giocatori online, grazie a una sorta di moneta virtuale (CoD points) con cui poter comprare nuove armi e divertirsi a mandare in bancarotta gli altri giocatori.
Call of Duty: Black Ops è disponibile per le piattaforme Playstation3, Xbox 360 e PC e anche in 3D, compatibile con le TV HD 3D-ready e con i PC 3D utilizzando gli appositi occhiali attivi per il 3D.
Dimore da spot
Nido, scatola asettica, desiderio proibito: questa è la casa della pubblicità tv
AD - Architectural Digest, Novembre 2010
Malgrado il calo degli investimenti pubblicitari e l'ascesa dei nuovi media digitali, i commercial televisivi rappresentano ancora oggi un valido “termometro” in grado di identificare stili di vita contemporanei. Può essere quindi un'operazione interessante verificare come la casa viene oggi rappresentata negli spot pubblicitari.
Quando riveste il ruolo di sfondo o contesto all'interno di uno spot, la casa costituisce, nella maggior parte dei casi, un elemento segnaletico e non puramente comunicativo: il suo scopo infatti è quello di identificare e raccontare in pochi istanti il protagonista dello spot e, indirettamente, il target a cui si rivolge.
Dall'osservazione degli arredi nelle pubblicità in onda in questi ultimi mesi si possono evidenziare tre principali categorie.
Innanzitutto la casa rappresentata come luogo della famiglia. Una casa “nido”, un cocoon. Calda, accogliente e ospitale. E' la casa, ad esempio, degli spot Barilla (il cui storico claim recitava, non a caso, “Dove c'è Barilla, c'è casa”). In questi casi si preferisce girare lo spot non in fredde location o teatri di posa arredati, bensì in appartamenti realmente “vissuti” al fine di trasferire in modo chiaro questa percezione.
C'è poi la categoria della casa “neutrale”: arredo minimalista, total white, elegante ma impercettibile. Una scatola vuota con, al limite, qualche riferimento cromatico al colore del prodotto pubblicizzato. Qui l'obiettivo è quello di far risaltare il brand e non distrarre lo spettatore con altro. Rimanendo nel campo del largo consumo alimentare, Ferrero utilizza spesso questa soluzione, come pure molti servizi o prodotti tecnologici (compagnie telefoniche, in primis).
Infine c'è la casa rappresentata negli spot dei prodotti di lusso - sempre più rari in tv, peraltro. In quest'ultima categoria la casa ha un ruolo aspirazionale e comunicativo: trasferisce un mondo di benessere e di opulenza, spesso molto stereotipato.
Una curiosità: sempre più spesso nelle pubblicità delle auto compare l'esterno di un'abitazione. Villetta, facciata bianca giardino curato, tipica situazione del nord europa. Lo scopo in questo caso è di rassicurare lo spettatore, comunicando sia un approccio green ed ecologico sia quello più familiare (paradossalmente perfino Porsche ha utilizzato di recente questa ambientazione).
Per concludere, da segnalare la presenza sempre più massiccia della casa “globalizzata”: un ambiente trasversale e uniformato, che potrebbe essere a Berlino come a Bologna. Tale tendenza è dovuta, da una parte, dalle grosse multinazionali che utilizzano uno spot unico per tutta Europa o per l'intero occidente, dall'altra l'effettiva standardizzazione degli scenari urbani che tendono a riprodursi in ogni luogo.