: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.
L'industria ci fa le guarnizioni, Armani i vestiti. E' l'ora del neoprene.IlFoglio - 20 gennnaio 2007Milano - E’ appena terminata “Milano Moda Uomo”, la manifestazione che anticipa le collezioni del prossimo inverno proposte dai principali stilisti, e con essa è finita anche la parata di maschi selvaggi e infantili, dandy e scapestrati.
Siamo persone di mondo e in fondo anche noi siamo stufi del granitico conservatorismo dell’abbigliamento maschile (ancora giacca e cravatta, suvvia) e ci incuriosisce osservare cosa i designer (non provate più a chiamarli stilisti) ci hanno riservato per il nostro futuro guardaroba. Non vediamo l’ora che arrivi il prossimo inverno per poter incontrare dal commercialista l’uomo pensato da Prada con la sua bella tutina in pelouche, o quello vestito da sci alpino mentre fa la fila alla posta di Porta Romana.
Ma leggendo le puntuali cronache delle sfilate dei cronisti di moda e le dichiarazioni tra il furbetto e l’altisonante del designer di turno, una parola ci è rimasta addosso e temiamo che sarà dura togliercela dalla mente: Neoprene.
Non tutti siamo obbligati a sapere di cosa si tratti o di quale sia il suo utilizzo principale, anche perché le applicazioni di questo materiale sono tra le più varie, dall’industria automobilistica a quella navale, per la realizzazione di raccordi, guarnizioni, rivestimenti protettivi o indumenti tecnici. Il fatto è che il neoprene è diventato il principale materiale di queste sfilate milanesi. Giorgio Armani per la sua linea casual “Emporio Armani” ha ideato per l’uomo una serie di vestiti e accessori “total black” (“perché il nero fa figo” chiosa Re Giorgio), giubbini e pantaloni aderenti al corpo, paragomiti e ginocchiere realizzate in neoprene.
Il neoprene è la prima gomma sintetica prodotta negli Stati Uniti negli anni Trenta: tecnicamente chiamato policloroprene, fu scoperto nei laboratori della DuPont lo stesso anno in cui il colosso chimico con sede nel Deleware e a Ginevra inventò il nylon. Questo gomma porosa risulta particolarmente resistente all’invecchiamento atmosferico e al calore ed è inerte verso molti agenti chimici, olii e vari solventi. Per esempio le mute da immersione sono di neoprene compresso e garantiscono resistenza da abrasioni e tagli, un’ottima vestibilità e un buon isolamento termico. Le peculiarità del neoprene come materiale per l’abbigliamento maschile sono innanzitutto l’elasticità, la resistenza allo schiacciamento e alle sue capacità termiche.
Capite bene come l’uomo metropolitano di oggi, sottoposto a mille ostacoli e intralci e con sempre nuove pericolose missioni da compiere, senza il neoprene si senta perduto. Questo materiale tecnico non è stato visto soltanto indosso all’uomo nero di Armani, ma anche come elemento nei borsoni presentati da Trussardi esposti insieme ai propri modelli durante la sfilata in un nastro scorrevole, come quello dell’aeroporto al ritiro bagagli.
Versatile, protettivo, isolante e che si adatta facilmente alle varie forme. Il neoprene è senza ombra di dubbio il materiale simbolo di questi tempi. La moda, anche questa volta, è arrivata prima di tutti. Giorgio Armani può essere contento, ché ha centrato l’obiettivo anche stavolta. E anche noi sorrideremo quando nei prossimi mesi, o addirittura anni, i quotidiani nazionali titoleranno nell’ultima pagina della cronaca “Tutti pazzi per il neoprene”.
Hi-Tech - Giocattoli
Green Tech
Style Magazine - Gennaio 2006Da qualche anno la parola “virtuale” è come sparita dai discorsi e dagli articoli su tecnologia e nuovi scenari. Al contrario, le industrie dell’hi-tech e dell’Information Technology si sono profondamente calate nel “reale”: non solo attraverso la realizzazione di prodotti “funzionali”, ma anche con contributi pratici per la risoluzione dei problemi che stanno affliggendo il pianeta. Il rapporto Stern, commissionato dal governo inglese all’ex dirigente della Banca Mondiale Nicholas Stern, ha fatto aprire gli occhi anche all’Europa sui rischi del riscaldamento climatico. Se il problema ambientale verrà affrontato subito, il costo del cambiamento climatico impatterà solo per l’1 per cento sul pil globale entro il 2050, altrimenti il costo sarà tra il 5 e il 20 per cento del pil.
Si è quindi venuta a creare la figura di un nuovo ambientalista – il “neo-green”, secondo una definizione coniata da Al Gore, l’ex vice presidente durante la presidenza Clinton e ora in prima linea sulle tematiche ambientali (in questi giorni sugli schermi italiani con il suo documentario “Una verità scomoda”) – che utilizza la tecnologia ecologicamente corretta e con bassi sprechi energetici per dare il proprio contributo, seppur infinitesimale, alla costruzione di un mondo migliore. Negli USA i neo-green guidano auto ibride (metà benzina e metà elettriche) come la Toyota Prius o alcuni modelli di Honda Civic - 145.000 vendute nel 2006, la gran parte in California - utilizzano pannelli solari per il riscaldamento dei propri appartamenti e acquistano prodotti tecnologici realizzati secondo dettami eco-compatibili.
Per venire incontro a questo nuovo target e, al contempo, per impegnarsi a favore dell’ambiente, molte aziende dell’hi-tech (ad esempio Sharp per gli schermi LCD e VIA Technologies sui pc) hanno iniziato a realizzare prodotti a basso consumo energetico, per ridurre l’emissione di CO2.
Hp da anni realizza i propri accessori con il 40% di materiale riciclato, mentre aziende dell’hi-tech come Lexmark hanno di recente annunciato la propria adesione al progetto LifeGate Energy che prevede la fornitura di energia prodotta da fonti rinnovabili come sole, acqua, vento e biomasse. “Affidarsi alle energie rinnovabili è segno di consapevolezza e responsabilità; significa contribuire concretamente allo sviluppo in termini ambientali, sociali ed economici e portare gradualmente il nostro Paese a raggiungere l’indipendenza energetica e la stabilizzazione dei prezzi” afferma Marco Roveda, fondatore di LifeGate “Trovo sia l’unico modo per essere davvero credibili e competitivi sul mercato, interpretando sia i bisogni del pianeta che le aspettative dei nuovi consumatori”.
Non tutti però riconoscono l’efficacia di queste operazioni. L’intellettuale danese Bjorg Lomborg – autore del discusso saggio “L’ambientalista scettico” (Mondadori) - non è convinto: “Sono semplici operazioni di eco-marketing che non portano a niente. Anzi, se si analizzano da un punto di vista di costi/benefici vediamo che queste operazioni sono solo uno spreco di risorse e non portano alcun frutto per l’ambiente”.
Gli stilisti che promuovono parlando d'altroQUATTRO REGOLE CHE SPIEGANO LA FILOSOFIA PUBBLICITARIA DI D&GIl Foglio - 11 gennaio 2006Regola numero uno: essere permalosi, molto permalosi. Per capire la pubblicità e il modo di comunicare di Dolce & Gabbana questa è la prima peculiarità da tenere di conto. Per cui se una giornalista-scrittrice (Camilla Baresani, nello specifico) recensisce il loro nuovo e sfavillante bar-ristorante-bistrot Gold di Milano, segnalando che la cotoletta alla milanese – oleosa, gommosa e perfino dolciastra – è tra le più cattive mai mangiate, i due stilisti rispondono sdegnati cancellando 300mila euri di pubblicità già pianificata sul giornale (Il Sole 24ore) che si è permesso di pubblicare l’articolo.
Ma l’arte del prendersela si può manifestare in vari modi, uno tra i quali – particolarmente in voga tra i bambini in un’età compresa tra i cinque e i nove anni– è quello della ripicca, ovverosia rispondere al rimprovero o alla critica con un comportamento ancor più sfrontato, giocando al rialzo. Il New York Times definì Dolce & Gabbana due personaggi cafoni e paesani: un anno più tardi - anche la ripicca è un piatto che va mangiato freddo (e talvolta zuccherato) – al grido di “facciamogli vedere fino a che punto siamo capaci di esserlo”, quest’estate i due stilisti hanno realizzato nella loro casa di Portofino un servizio fotografico per la rivista americana W, mostrandosi in situazioni ambigue e scabrose, nudi con i tacchi a spillo tra vescovi e rosario. Non solo cafoni, quindi, ma anche miscredenti, burini e froci. Tiè. Cicca cicca.
Regola numero due: scioccare, provocare ma, soprattutto, parlare d’altro. Circa un anno fa, per reclamizzare la loro nuova linea di orologi (D&G Time), i due stilisti siculo-veneto-milanesi hanno realizzato uno spot in cui viene rappresentata una giovane coppia che, dopo una romantica cenetta e una serie di altri convenevoli, finisce la serata con una gara di scorregge - come nelle migliori commedie di Alvaro Vitali. In questi giorni, una loro pubblicità comparsa sul Times, con uomini armati di coltelli e pistole che minacciano un individuo terrorizzato su un divano mentre un altro è a terra stecchito da una pallottola in fronte (con vaghe citazioni delle tele di Delacroix e David) è stata aspramente criticata dall’autorità garante per la pubblicità in seguito a centinaia di lamentele dei lettori. Insomma: l’imperativo è spostare l’attenzione su altro, provocare senza pensarci troppo e con una ricerca stilistica sicuramente accurata e raffinata ma, in fondo, fine a se stessa e sicuramente con intenzioni e risultati diversi da quelli di Diesel e delle storiche campagne di Toscani per Benetton.
Regola numero tre: Dolce & Gabbana, innanzitutto. Dimenticatevi la figura dello stilista sartoriale rinchiuso nel suo laboratorio con matita e forbici, che fa parlare solo i suoi vestiti o che appare timidamente in passerella al termine di una sfilata. Stefano Gabbana e Domenico Dolce sono i principali testimonial dei loro prodotti. E non è tutto. La loro immagine è così forte che viene utilizzata per pubblicizzare anche i prodotti di altre aziende: la Motorola ha scelto i loro volti per pubblicizzare il nuovo telefonino e, in questi giorni, è ancora possibile vedere in tv lo spot Lancia, con Stefano Gabbana che prende a calci e pugni una vecchia Lancia anni ‘30 fino a modellare la nuova Ypsilon. Le loro opinioni su Pacs e Chiesa, inseminazioni artificiali e anoressia sono, nella società dello spettacolo in cui viviamo, tenute in conto quanto quelle di intellettuali o ministri.
E in tutto questo dove stanno i vestiti? Qualcuno pensa che mettere gli abiti in secondo piano sia la regola numero quattro.