: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.
Gli stilisti che promuovono parlando d'altroQUATTRO REGOLE CHE SPIEGANO LA FILOSOFIA PUBBLICITARIA DI D&GIl Foglio - 11 gennaio 2006Regola numero uno: essere permalosi, molto permalosi. Per capire la pubblicità e il modo di comunicare di Dolce & Gabbana questa è la prima peculiarità da tenere di conto. Per cui se una giornalista-scrittrice (Camilla Baresani, nello specifico) recensisce il loro nuovo e sfavillante bar-ristorante-bistrot Gold di Milano, segnalando che la cotoletta alla milanese – oleosa, gommosa e perfino dolciastra – è tra le più cattive mai mangiate, i due stilisti rispondono sdegnati cancellando 300mila euri di pubblicità già pianificata sul giornale (Il Sole 24ore) che si è permesso di pubblicare l’articolo.
Ma l’arte del prendersela si può manifestare in vari modi, uno tra i quali – particolarmente in voga tra i bambini in un’età compresa tra i cinque e i nove anni– è quello della ripicca, ovverosia rispondere al rimprovero o alla critica con un comportamento ancor più sfrontato, giocando al rialzo. Il New York Times definì Dolce & Gabbana due personaggi cafoni e paesani: un anno più tardi - anche la ripicca è un piatto che va mangiato freddo (e talvolta zuccherato) – al grido di “facciamogli vedere fino a che punto siamo capaci di esserlo”, quest’estate i due stilisti hanno realizzato nella loro casa di Portofino un servizio fotografico per la rivista americana W, mostrandosi in situazioni ambigue e scabrose, nudi con i tacchi a spillo tra vescovi e rosario. Non solo cafoni, quindi, ma anche miscredenti, burini e froci. Tiè. Cicca cicca.
Regola numero due: scioccare, provocare ma, soprattutto, parlare d’altro. Circa un anno fa, per reclamizzare la loro nuova linea di orologi (D&G Time), i due stilisti siculo-veneto-milanesi hanno realizzato uno spot in cui viene rappresentata una giovane coppia che, dopo una romantica cenetta e una serie di altri convenevoli, finisce la serata con una gara di scorregge - come nelle migliori commedie di Alvaro Vitali. In questi giorni, una loro pubblicità comparsa sul Times, con uomini armati di coltelli e pistole che minacciano un individuo terrorizzato su un divano mentre un altro è a terra stecchito da una pallottola in fronte (con vaghe citazioni delle tele di Delacroix e David) è stata aspramente criticata dall’autorità garante per la pubblicità in seguito a centinaia di lamentele dei lettori. Insomma: l’imperativo è spostare l’attenzione su altro, provocare senza pensarci troppo e con una ricerca stilistica sicuramente accurata e raffinata ma, in fondo, fine a se stessa e sicuramente con intenzioni e risultati diversi da quelli di Diesel e delle storiche campagne di Toscani per Benetton.
Regola numero tre: Dolce & Gabbana, innanzitutto. Dimenticatevi la figura dello stilista sartoriale rinchiuso nel suo laboratorio con matita e forbici, che fa parlare solo i suoi vestiti o che appare timidamente in passerella al termine di una sfilata. Stefano Gabbana e Domenico Dolce sono i principali testimonial dei loro prodotti. E non è tutto. La loro immagine è così forte che viene utilizzata per pubblicizzare anche i prodotti di altre aziende: la Motorola ha scelto i loro volti per pubblicizzare il nuovo telefonino e, in questi giorni, è ancora possibile vedere in tv lo spot Lancia, con Stefano Gabbana che prende a calci e pugni una vecchia Lancia anni ‘30 fino a modellare la nuova Ypsilon. Le loro opinioni su Pacs e Chiesa, inseminazioni artificiali e anoressia sono, nella società dello spettacolo in cui viviamo, tenute in conto quanto quelle di intellettuali o ministri.
E in tutto questo dove stanno i vestiti? Qualcuno pensa che mettere gli abiti in secondo piano sia la regola numero quattro.