: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.
Andrea Arcangeli: il genio del computer vive in cantina, in RomagnaStyle - Giugno 2007“Se la chiamano nerd, lei si offende?” Andrea Arcangeli sorride. “Mah, diciamo che resto neutro. Non mi interessa. Ci sono certamente molti sviluppatori che sono disattenti ai dettagli, all’estetica, ma che guardano alla sostanza delle cose. Per molti il termine nerd ha una valenza negativa, mentre per altri è un complimento. Perciò per me è neutrale. Personalmente mi sento al confine”.
Ogni risposta di Andrea Arcangeli è seguita da una fragorosa e contagiosa risata. Il DNA romagnolo vince su qualsiasi ruvidezza e chiusura tipica degli informatici. E poi Andrea Arcangeli ha tutti i motivi per esser contento. Ha 30 anni ed è il programmatore di Linux (“preferisco il termine sviluppatore”) più quotato e pagato in Europa. Linux è un sistema operativo informatico “open source” basato cioè sulla collaborazione libera e spontanea degli sviluppatori che rendono pubblici sulla rete i codici di programmazione, a differenza dei “concorrenti” Windows di Microsoft o OS X di Apple che sono invece software proprietari. Il sistema Linux è utilizzato sui server piuttosto che sui pc domestici: per fare un esempio, i più potenti web server come quelli di Google, Wikipedia e YouTube “girano” su Linux.
Andrea Arcangeli ci accoglie nell’appartamento in cui si è appena trasferito, sempre a Imola, città da cui non si è mai allontanato. L’appartamento è rigorosamente bianco, pulito e hi tech. Tutte le camere sono cablate e in cucina c’è un piccolo robottino che pulisce il pavimento.
I computer e i server, quelli potenti e rumorosi, li tiene giù in cantina: in casa sono presenti solo due pc connessi con il server. L’intervista si svolge nella sala dove domina un enorme plasma collegato ad un computer (“è il computer per l’entertainment”) che funziona anche da antifurto per la casa e da videoregistratore. Arcangeli videoregistra continuamente qualsiasi cosa: adesso su una delle tante finestre sullo schermo c’è una partita di tennis trasmessa dalla BBC.
Se dovesse spiegare a un bambino di 6 anni (o a un anziano di 70) qual è il suo lavoro, cosa direbbe?
Io sviluppo il kernel di Linux, che è il cuore, la parte principale del sistema operativo Linux, quello che non si vede, non l’interfaccia grafica visibile a tutti. Per dire, se nel kernel qualcosa non funziona, il computer va in tilt. Io cerco di renderlo più veloce e più stabile, correggo gli errori e risolvo i problemi. In particolare mi occupo della gestione della memoria del sistema.
Come ha iniziato? Sono sempre stato appassionato di computer. Grazie all’università - che poi ho abbandonato - nel 1997 sono entrato in contatto con internet e Linux e sono rimasto attratto dalle potenzialità dell’open source. Nel tempo libero provavo a modificare e correggere gli errori che erano nei codici sorgenti del sistema, contribuendo a migliorarli.
A quel tempo non esistevano aziende che gestivano il business?No. Solo negli Stati Uniti c’era già chi lavorava a tempo pieno, come Linus Torvalds, lo sviluppatore principale di Linux. Poi man mano sono arrivate anche le aziende di software che hanno acquisito alcune versioni (“distribuzioni”) di Linux, come la Novell che è la società per cui ora lavoro.
E’ vero che la pagano a minuto?A dir la verità al secondo. Ogni volta che inizio a lavorare sui codici, si attiva un contatore. Ho iniziato così dal 1999 e non ho più cambiato. Poi ogni fine mese sommo tutti i secondi e li converto in ore.
La pagano bene?Non mi lamento. Non ho nessun tipo di problema economico.
Ha vissuto il periodo euforico della new economy?Uh, se l’ho vissuto…. (ride). Per noi dipendenti è stato molto divertente: si viaggiava e si guadagnava molto. Nel 2000 le aziende non dovevano trarre profitti per crescere in borsa. L’importante per i venture capitalist era che le aziende di IT spendessero. Non importava se poi erano tutte in perdita.
Meglio prima o meglio ora?Sinceramente è meglio ora. Girano meno soldi, ma almeno si lavora su progetti concreti. Prima era una situazione surreale.
Qual è la sua giornata tipo?La mattina mi sveglio, lavoro quattro ore, poi spesso vado a mangiare dai miei. Il pomeriggio lavoro ancora e poi la sera un po’ di svago. Cose normali. Amo il cinema, ascoltare musica, suonare la chitarra e andare con lo snowboard.
Ma lei lavora da casa?Ho sempre lavorato da casa, anche perché il punto di sviluppo più vicino sarebbe a Norimberga. La maggior parte degli sviluppatori di Linux lavora da casa, chi da Portland, chi da New York, chi dall’Australia. Poi ogni tanto capita di andare in giro per convention.
Invece della piadina romagnola le piacerebbe mangiare il pollo tandoori a Bangalore, o un hamburger alla Silicon Valley?Non credo mi convenga andare a Bangalore (risata).
Perché?Le grosse multinazionali si insediano in India o in Cina non perché trovano competenze specifiche, ma perché là il costo della vita è più basso e lo stipendio dieci volte più basso. A loro conviene. A me no.
E invece con Linux questo non succede?
Linux è un sistema open source, i file sorgenti su cui lavorare risiedono in rete: questo mi permette di stare dove voglio, mi basta avere una connessione internet veloce e un server potente. Tutto viene condiviso in rete, grazie a delle particolari licenze gratuite. Le grosse aziende come Google, Cisco o Sun richiedono invece di stare in loco. Il motivo principale è perché il software su cui lavorano è un sistema proprietario e non vogliano certo correre il rischio di mettere in rete un programma la cui licenza costa milioni di dollari.
Meglio Bill Gates o Steve Jobs?Personalmente preferisco Jobs.
Perchè? Perché è quello che ha copiato di meno, e poi ha fatto le scelte giuste al momento giusto. Per dire, a livello entertainment, iTunes era una cosa che Microsoft poteva progettare molto tempo prima e non l’ha fatto. Stessa cosa per l’iPod.
La partita di tennis è finita. Ora c’è la pubblicità. “Su questo computer gira un software che permette di non registrare la pubblicità. Non perché capta un segnale nella linea, ma perché, con l’esperienza, riconosce i break pubblicitari e riesci a saltarli. Lo ha programmato un amico americano con Linux”.
Come si immagina lei tra dieci anni? Ah, non saprei. Intanto devo ancora finire di arredare la casa (ride). Mah, per il momento non intendo avviare un’attività imprenditoriale, preferisco continuare a fare quello che faccio e lavorare sui codici.
Cosa avrebbe fatto se non ci fosse stato internet?Davvero difficile dirlo. Sicuramente avrei guadagnato molto meno.