: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.
PUBBLICITA' E CENSURA ALLA STAZIONE TERMINI
Una mostra per tutti i casi "D&G" che scuotono il mondo degli spot
Il Foglio - 8 marzo 2007
Si dice che le pubblicità che vediamo in tv o sui giornali riescono a rappresentare in modo strumentalmente veritiero i valori e le “modalità espressive dominanti” della società (e l’ultima – “scandalosa” per i più - campagna stampa di Dolce&Gabbana, quella criticata per “poco rispetto” verso le donne non è che l’u non è che l’ultimo esempio). Cosa dovremmo dire allora delle pubblicità che non vediamo, quelle bloccate o bocciate dalle autorità competenti per difendere la sensibilità del pubblico e del consumatore?
E se le campagne campagne non approvate dalla “giustizia pubblicitaria”, paradossalmente, riuscissero ancor meglio a raccontare la storia del costume italiano e del comune senso del pudore?
A questo devono aver pensato quelli dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) che in occasione dei 40 anni di attività hanno deciso di esibire quello che fino ad ora non era stato mostrato o era apparso solo per un breve periodo di tempo: una cinquantina di manifesti e spot esaminati dal Giurì e ritenuti indecenti o bugiardi o fastidiosamente ammiccanti e, quindi, non idonei a essere mostrati in pubblico.
La mostra (“Pubblicità con Giudizio” da oggi fino al 31 marzo all’interno della Stazione Termini di Roma) evidenzia l’evoluzione della sensibilità, della creatività e dei mutamenti della società italiana dal 1966 ad oggi. “In tutti questi anni” commenta Vincenzo Guggino, segretario generale dell’IAP, “l’attenzione si è spostata dalla cosiddetta indecenza, dall’uso della sessualità alla difesa del consumatore e della dignità della persona. Nel tempo il sesso e il nudo sono stati sempre più accettati, è cresciuto invece il lavoro in difesa dei minori e della persona”.

Vediamole, queste campagne. Il sesso innanzitutto, o meglio, l’ “erotizzazione” della merce attraverso il corpo femminile: burrose mozzarelle, ammiccanti gelati al lampone e altri derivati del latte rappresentati da invitanti forme di seni femminili, oppure la bottiglia di birra posta tra le gambe di una procace bellezza latina affiancata dalla slogan “Fatti una cubana”.
Ma guai a parlare di censura, dal momento che - dicono gli esponenti dello IAP - i limiti sono tracciati da chi questo messaggio lo produce (lo IAP è composto sia dalle aziende che investono sia dai pubblicitari). L’obiettivo è quello di difendere l’utente dalla proliferazione di modelli devianti: non solo immagini scabrose, ma anche vere e proprie truffe. La sezione “Credere o non credere” è una fantastica rassegna di trappole, inganni e falsità (“non indurre in errore i consumatori” recita come un comandamento il codice del Giurì) che non tendono a diminuire, anzi, con l’avvento della pubblicità che permette di comparare più prodotti dello stesso genere, i casi di annunci che “denigrano attività, imprese e prodotti altrui” sono moltiplicati (come quelli di Ryanair che, in più occasioni, mettono in ridicolo il competitor Alitalia). Per non parlare dei miracoli tricologici e delle comunicazioni sulle tariffe telefoniche. Altre sezioni sono dedicate alla cattiva pubblicità delle bevande alcoliche non propriamente ispirata dalla misura e dalla responsabilità e agli eccessi blasfemi. In quest’ultima sezione (“Scherza coi fanti”) dedicata al rispetto della sensibilità religiosa, Oliviero Toscani la fa da padrone con il sedere sexy dei jeans Jesus (“Chi mi ama mi segua” - 1974) e con la foto del bacio in bocca tra la suora e il prete scattata per Benetton. Poi c’è il puro trash, la voglia di stupire e di farsi notare (“Colpire l’occhio”); qui la creatività italiana diventa insuperabile, roba da massacrare il Moige in un colpo solo. Dal corriere del Varesotto che per comunicare l’affidabilità del servizio (“il pacco è in buone mani”) mostra in primo piano il gesto scaramantico, alle immagini pulp per pubblicizzare le console dei videogiochi.
Ad ogni annuncio esposto nella mostra sono associati gli estratti delle motivazioni dell’accusa, della difesa e del Giurì. In alcuni casi le agenzie pubblicitarie, dopo il parere negativo dello IAP, tentano di correggere il messaggio bocciato, come nel caso della pubblicità di Ciao Crem (la crema al cacao spalmabile che negli anni ‘70 cercò di fare concorrenza alla Nutella). Nell’ultima sezione della mostra, quella dedicata ai bambini, viene esposta sia la prima versione della pubblicità con il bimbo imbronciato che ricatta “O mi dai ciao crem o non mangio” sia la seconda (questa volta approvata) con lo stesso bambino che esultante urla “Mamma sei forte, mi hai dato ciao crem”.
Di certo la prima era ben più efficace.