: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.
IL MIO NOME E' ROSSO
Il perchè del flop di "RED", la campagna di marketing umanitario per le cure anti Aids.Il Foglio - Mercoledì 14 marzo 2007
L’idea pareva innovativa, la causa nobile e la task force di aziende e celebrities messa in campo di primissima scelta. L’iniziativa era stata presa lo scorso anno da Bono Vox - un tempo conosciuto come carismatico cantante degli U2, ora noto per essere (o credersi) salvatore dell’umanità e professionista delle cause solidali - che, dopo aver occupato le poltrone della Banca Mondiale, del WTO e del G8 per convincere le nazioni più potenti del mondo a cancellare il debito verso i paesi poveri, aveva deciso di unire, per la prima volta, il “consumo cool” alla beneficenza.
Così nel gennaio scorso era nata (RED), un’iniziativa globale di charity ma, soprattutto, un nuovo modello di business, che coinvolgeva alcune tra le più importanti aziende “iconiche” di questi anni (Apple, Motorola, Gap, Giorgio Armani, American Express, Converse): queste aziende si impegnavano a produrre edizioni speciali colorate di rosso dei loro prodotti di punta – iPod per Apple, t-shirt Gap, il cellulare Motorazr – e a donare una parte di proventi ad un fondo per combattere la lotta contro l’aids in Africa (per ogni iPod nano (RED) venduto a 199$, 10$ andavano a finanziare il progetto).
“Come consumatori privilegiati tutti noi abbia un enorme potere: con le nostre scelte collettive di consumo possiamo cambiare il corso della vita e della storia” recita il “manifesto” dell’iniziativa, e che prosegue. “Adesso abbiamo la possibilità di farlo. Noi crediamo che quando ai consumatori sarà offerta questa opportunità, se i prodotti soddisferanno i loro bisogni, allora sceglieranno i prodotti (RED)”.
La campagna quest’anno ha avuto una visibilità globale senza precedenti, anche perché, oltre alle aziende, sono state coinvolte decine di celebrità dell’entertainment: Oprah Winfrey ha offerto se stessa e il proprio programma come cassa di risonanza per promuovere l’iniziativa, l’attore Chris Rock in ogni apparizione mostrava il suo cellulare rosso e poi le foto di Ann Leibovitz che ritraevano Spielberg, Penelope Cruz e Jennifer Garner con le magliette rosse su tutti i principali magazine hanno fatto il resto (anche un noto femminile italiano regalava in allegato la borsa (RED) alle proprie lettrici).
Insomma, prodotti e testimonial desiderati, grandi visibilità, causa nobile e il culmine della campagna nel periodo natalizio, tutti prerequisiti per un successo annunciato. E invece.
Il settimanale americano Advertising Age ha fatto i conti della serva e ha dichiarato che a fronte di una spesa di cento milioni di dollari (cifra un po’ sovrastimata che include anche gli spazi offerti gratuitamente dal programma di Oprah), l’iniziativa (RED) ha ricavato solo 18 milioni di dollari. Bottino magro, magrissimo, nonostante lo spiegamento di forze. La sproporzione tra spese ed entrate in realtà, non rappresenta una minaccia tanto per l’iniziativa umanitaria che, in fondo, ha una finalità più ampia, quella cioè di cambiare il modello di business legato al marketing umanitario, traendo profitto dalla beneficenza, quanto per le aziende coinvolte.

L’articolo di AdAge, assai caustico e critico nei confronti dell’operazione, fa anche riferimento alle iniziative “contro” che (RED) ha scatenato in rete, come ad esempio quella del sito www.buylesscrap.org (compra meno merda) e che raccoglie una serie di iniziative di charity che non coinvolgono l’acquisto e il consumo. “Lo shopping non è la soluzione. Compra di meno. Dona di più.” è lo slogan che guida la loro campagna.
I responsabili delle aziende coinvolte, interpellate dal giornale, rispondono di non essere preoccupati perché (RED) non è la classica opera di beneficenza con un fine quantitativo ben definito da raggiungere: l’operazione ha, al contrario, un obiettivo a lungo termine di sostenibilità, termine che vuol dire tutto e nulla, ma che, in questo caso, significa introdurre nella testa delle persone una forma di coscienza e di consumo solidale “cool”, lontana dai vecchi stereotipi.
La causa dell’insuccesso a breve scadenza dell’operazione è forse da imputare alle persone che, bombardate continuamente da operazioni solidarietà e Telethon vari – rivelatesi spesso grandi truffe – sono sempre più scettiche e non riescono più a discernere.
L’impressione che si ricava è che, sempre più spesso, alcune aziende si approfittino di queste situazioni solo per proprie operazioni di “maquillage” e di immagine, magari nei momenti di crisi. Gap, i magazzini di abbigliamento casual, da alcuni anni stanno soffrendo la concorrenza e, non a caso, sono stati quelli che hanno investito di più nella campagna (RED) (circa 10 milioni). Più che di etica aziendale vale la pena parlare di rappresentazione dell’etica, che finisce per diventare un “prodotto” da comunicare, e che ha bisogno di un packaging per essere pronta all’uso. Sostanzialmente, un’etica da scaffale.