: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.
La strategia espansionista di Starbucks, il "terzo luogo" che viaggia verso l'Italia
Il Foglio - Martedì 14 novembreCi sono notizie che sembrano diramate con il preciso scopo di nascondere la verità. Ce n’è una su Starbucks, la catena di bar famosa per i suoi caffè e “frappuccini” che pare stia per sbarcare in Italia, ad esempio. Una notizia che in questi giorni ha occupato i giornali di mezzo globo: l’associazione umanitaria Oxfam ha accusato la potente corporation americana di impedire all'Etiopia di far rispettare il marchio di due tipi di semi di caffè (che sono poi le qualità di caffè più popolari, Sidamo e Harar) negando così ai coltivatori africani un potenziale introito di oltre 74 milioni di euro. Ovviamente Starbucks smentisce di aver ispirato il tentativo di bloccare l'iniziativa effettuata dalla National Coffee Association Usa (di cui Starbucks è uno dei più potenti membri) presso l'Ufficio dei brevetti, ma ha offerto alla stampa l’occasione per il dibattito con i soliti ruoli della corporation cattiva e della Ong buona e giusta.
Insomma, si parla di caffè, come se questo fosse ancora il principale obiettivo della catena globale di Seattle. In realtà oggi per Starbucks - almeno negli Stati Uniti - il caffè non è il vero punto.
Il business prospettico per la multinazionale di Seattle nei prossimi anni è quello di creare un “gusto” che vada oltre il caffè: l’obiettivo è la creazione di un’estetica, uno stile e una serie di suggerimenti culturali veicolati e consigliati da Starbucks ai suoi fedeli consumatori ormai assuefatti di caffè. La scorsa settimana sul New York Times c’era un articolo di Susan Dominus intitolato “The Starbucks Aesthetic” in cui si poneva l’attenzione su questo nuovo aspetto. Da alcuni anni nelle oltre 12.000 caffetterie sparse negli USA sono venduti - con grandissimo successo - libri, dischi e dvd, alcune volte in anteprima rispetto ai normali negozi, altre direttamente in esclusiva: è successo per il greatest hits di Bob Dylan, per il recente disco di Herbie Hancock o per l’ultimo best seller dello scrittore Mitch Albom “For One More Day”.
“La capillarità dei nostri negozi, la fiducia nel marchio e il profilo dei nostri consumatori ci pongono in una posizione unica per creare una nuova piattaforma dell’entertainment” dice fiero Howard Schultz, presidente di Starbucks. Molti americani considerano lo Starbucks sotto casa come “ the third place” ovvero il luogo alternativo alla casa e all’ufficio dove possono trovare il loro caffè preferito, incontrare amici, leggere giornali, navigare su internet con la rete wi-fi gratuita e acquistare libri, dischi e film. In Starbucks credono così tanto a questa estensione di offerta che hanno costituito due divisioni ad hoc (a Seattle e a Los Angeles) che si occupano di selezionare – e, in futuro, direttamente di produrre – i prodotti culturali da proporre al proprio cliente.
Non è un caso che si parli di cliente al singolare. Nonostante Starbucks sia un’azienda che si rivolge ad un pubblico di massa, per questo nuovo progetto ha voluto concentrarsi su un target ben preciso, quello dei propri fedelissimi: trenta-quarantenni, con un reddito medio di 90000$, educati, “a little hiipyish”, che costruiscono la propria identità sulla base dei propri gusti culturali e che trovano in Starbucks un “amico fidato” da ascoltare.
Il caffè, quindi, non è il punto. Negli Stati Uniti infatti i teenager hanno sostituito al caffè gli energy drink: dall’ultimo sondaggio della Simmons Reasearch sono oltre 7 milioni i consumatori assidui. Solo nell’ultimo anno sono stati lanciati sul mercato cinquecento nuovi prodotti che assicurano energia e vitalità ai giovanissimi grazie ad elevate dosi di caffeina e taurina. Ormai tutte le grosse corporations alimentari, da Coca-Cola a Anheuser-Bush, si sono scaraventate su questo mercato in fortissima crescita, ma anche oggetto di numerose critiche da parte di medici e salutisti. Il caffè tra i giovani viene vissuto come una bevanda statica, “da nonni” e con un bassissimo appeal. E anche Starbucks sta subendo questo calo d’immagine tra le nuove generazioni.
Questo è lo scenario che si prospetta negli Stati Uniti. Altrove la multinazionale di Seattle sta conducendo una politica espansionistica senza precedenti che porterà il “frappuccino” in Russia, Cina, India e Brasile e, come si diceva, anche in Italia.
E forse si tornerà a parlare di caffè.