: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.
Marketing MulticultiConti correnti in regola con la sharia, bond "coranici", cellulari sintonizzati su La Mecca e Medina.
Il Foglio - 18 ottobre 2006“Gestire i propri soldi senza scendere a compromessi con la propria fede”. E’ questo lo slogan pubblicitario del nuovo conto corrente bancario per giovani musulmani lanciato recentemente dalla banca inglese Lloyds Tsb; un conto corrente in regola con la Sharia, la legge islamica che vieta alle banche il conteggio degli interessi sui soldi depositati (Maometto in persona proibì di ricavare “denaro dal denaro”) come pure l’investimento in settori giudicati “impuri”, cioè attività che ricavano utili da affari su alcool, carne di maiale, pornografia, armi e azzardo.
Il business del “migrant banking” sta crescendo annualmente ad un ritmo del 15-20 per cento ed è il più dinamico tra i settori internazionali della finanza. Gli immigrati hanno un atteggiamento maturo e consapevole verso gli strumenti bancari: secondo una recente ricerca dell’università Bocconi, in Italia quasi la metà degli immigrati utilizzano correntemente le carte di credito e il bancomat. Così molti istituti di credito, dalla Popolare di Milano al Monte dei Paschi di Siena, hanno creato prodotti bancari dedicati ai lavoratori stranieri in Italia che offrono, oltre a conti correnti a condizioni agevolate, anche servizi accessori come il trasferimento di soldi all’estero, prestiti per l’acquisto di testi scolastici o polizze che coprono i costi di viaggio al paese d’origine in caso di eventi straordinari.
Tra i grandi gruppi di immigrati, i musulmani sono i più interessanti dal punto di vista del business. Uno dei primi prodotti finanziari pensati per il target dei fedeli è il sukuks, il bond “coranico” nato nel 2001 senza tassi di interesse, ma con una rendita per il sottoscrittore derivata dalle attività in cui il denaro è investito: recentemente la JBIC, la banca giapponese di cooperazione internazionale, ha annunciato un nuovo lancio di sukuks per circa 400 milioni di dollari con l’obiettivo di attirare i fondi provenienti dalla ricche monarchie petrolifere musulmane.
Ma il migra business non coinvolge solo il settore finanziario. Anzi.
Sono circa tre milioni gli stranieri residenti in Italia: secondo l’ultima ricerca Eurisko sui comportamenti d’acquisto degli immigrati, l’80 per cento di questi lavora, il 15 per cento è imprenditore in proprio e, nel complesso, producono il 7 per cento del PIL nazionale. Tre milioni di persone che guadagnano (in media 1.179 euro al mese), risparmiano, ma anche consumano (il 55 per cento possiede l’auto, il 18 per cento ha la casa di proprietà) e spendono (complessivamente circa 14 miliardi di euro all’anno). E che, vivendo in questo tempo, vogliono essere sedotti - e non abbandonati - da prodotti e da servizi che parlino la loro lingua e rappresentino la loro cultura.
La merce può essere tra le leve più efficaci per un processo di integrazione. L’esempio come sempre arriva dagli Stati Uniti e dal grande successo registrato dalle catene di supermercati che importano prodotti dai paesi latini, acquistati dalle migliaia di massaie dei quartieri ispanici delle grandi metropoli, ma che poi influenzano anche i consumi e i gusti degli yankees. Esistono poi delle catene di supermercati che operano anche in rete (Discovirtual per gli Argentini o Paodeacucar per i Brasiliani) che permettono agli emigranti di acquistare e spedire in patria cibo e oggetti Made in Usa, con condizione e costi più convenienti rispetto alla pratica del money transfert.
Ma sono le nuove generazioni, quelle che Eurisko chiama gli “integrati” o “giovani consumisti”, ad essere uno dei target più interessante e reattivo alle strategie di immigration marketing. I marchi di scarpe o di abbigliamento rappresentano per questi giovani un forte segno di integrazione ma, allo stesso tempo, di identità. Oltre ai potenti brand multinazionali, si stanno facendo largo marchi di prodotti occidentali che si rivolgono a target di origine araba: è il caso del marchio di jeans Al Quds, pantaloni in tessuto denim (prodotti ad Udine) disegnati in modo da potersi prostrare senza esibire nudità e con tasche abbastanza grandi da contenere il Corano. Oppure il primo telefonino islamico (Ilkone 1800, distribuito da Samsung Electronics) che contiene il testo integrale del Corano, il calendario del Ramadan e i numeri per le preghiere sintonizzate con la Mecca, Medina e Il Cairo.