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Saturday, October 28, 2006

 
"I sondaggi sono la rovina della politica", Giuliani for President

Il Foglio - 28 ottobre 2006

Milano - Due sono le notizie. La prima è che Rudy Giuliani è in splendida forma. La seconda news è che l’ex sindaco di New York è pronto per candidarsi alle presidenziali: la condizione necessaria affinché ciò avvenga è che i punti critici della campagna 2008 rimangano “terrorismo e sicurezza”; in tal caso lui è pronto ad essere il candidato repubblicano. Rudolph Giuliani era di passaggio a Milano per partecipare al World Business Forum, l’evento annuale organizzato da HSM e che anche quest’anno - per la terza volta - ha riunito i migliori nomi dell’economia e della politica da Tom Peters a Malcolm Gladwell, da Robert Kaplan a Madeleine Albright. Giuliani è parso rilassato, sorridente e disponibile, accompagnato dalla moglie Judith Nathan sempre a suo fianco e che, probabilmente, studia già da first lady.
Secondo l’ultimo sondaggio di WNBC/Marist, Giuliani oggi batterebbe Hillary Clinton in un potenziale testa a testa per la presidenza: il 49% degli americani voterebbe per il favorito tra i repubblicani, mentre l'ex first lady e senatore di New York si attesta al 42% dei consensi, contro il 9% di indecisi. Ma Rudy Giuliani non vuol sentire parlare di sondaggi: “sono la rovina della politica: negli Stati Uniti gli uomini politici sono ormai troppo condizionati dai risultati dei sondaggi e da ciò che pensa l’opinione pubblica. Per conquistare il consenso sono costretti a cambiare idea e politica ogni sei mesi. Questo comportamento è l’esatto contrario di ciò che deve essere una vera leadership”. Al World Business Forum Giuliani è infatti venuto a parlare di leadership, o meglio della leadership nel crisis management, quella esercitata nei momenti di crisi. Chi meglio di lui può parlare di risoluzione della crisi: quando fu eletto sindaco di NewYork, la città viveva uno dei suoi periodi più bui: i tassi di criminalità e di illegalità altissimi e con il 65% dei newyorkesi che desiderava cambiare città. Dopo pochi anni di applicazione del programma “tolleranza zero” la città ebbe un calo di 57% della criminalità, e in particolare gli omicidi scesero di 65 punti percentuali, permettendo alla Fbi di dichiarare New York la città più sicura degli Stati Uniti. Ridusse le tasse di 2,3 miliardi e creò 450.000 posti di lavoro nel settore privato. Poi ci fu l’11 settembre. “In quel caso fu fondamentale la preparazione. Ovviamente non avevamo un piano per affrontare un disastro di tale portata, ma tanti piccoli piani per problemi minori. E alla fine furono utili per far fronte a Ground Zero.” Sul tema della leadership Giuliani ha scritto un bestseller (“Leadership”, appunto, tradotto da Mondatori) in cui riassume in pochi e semplici punti i principi da lui sostenuti: avere un obiettivo e un piano da seguire (non importa se impopolari), avere un’attitudine positiva, il coraggio di correre dei rischi, una solida preparazione, una squadra di lavoro affidabile e una buona capacità di comunicare. Principi che ribadisce anche nel suo discorso del World Business Forum di Milano. Una formula fin troppo semplice ma, visti i risultati, piuttosto efficace.
Ogni giorno su giornali come Financial Times nelle pagine dedicate all’organizzazione aziendale viene annunciata la crisi e, addirittura, la morte della leadership così come noi la intendiamo per far posto alla nascita di una nuova forma di leadership distribuita e diffusa. Ma Giuliani sull’argomento è in totale controtendenza “In questo momento c’è ancora più bisogno di una forte leadership rappresentata da un’unica figura umana, e ciò perché siamo sottoposti ad una continua pressione e ad analisi istantanee giorno dopo giorno: la reazione a questi eventi senza un piano preciso e una visione di lungo termine decisa da un leader può essere deleteria”. Giuliani al termine del suo intervento ha un pensiero su ogni argomento di attualità che coinvolge gli Stati Uniti. Iraq “ Fino a quando non viene definita una forma di governo stabile, non possiamo lasciare l’Iraq: non per ridurre il terrorismo ma per evitare che il popolo iracheno torni ancora una volta ad essere assediato e oppresso.”
Terrorismo “Questa è una vera e propria guerra al terrore, che non viene scandita dai morti, ma dalla pressione psicologica. Tra le varie minacce prospettate dall’Economist per i prossimi anni - crisi energetica, aviaria, disastro naturale, terrorismo - pur essendo l’avversità che negli ultimi anni tre-quattro anni ha causato relativamente meno morti, è quella che ha più bisogno della collaborazione di tutti per sconfiggerla.” Su Katrina “E’ stato un disastro nel disastro. Tutto è andato male. Non c’era una leadership forte e decisa sul luogo, ma tanti piccoli poteri non preparati al disastro.”

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