: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.
La generazione Y e la fede, il Personal Jesus e qualche sorpresaLa religione non interessa come obbedienza a dogmi e regole ma come strumento per costruire la propria identità.
Il Foglio - 27 Maggio 2005Benvenuti nell’iPod era. Gli Stati Uniti - e in generale la gran parte dei paesi occidentali - vivono un periodo di profondo cambiamento: l’individuo e l’atteggiamento individualista dettano ormai legge sugli stili di vita e hanno un forte riflesso sulle scelte di consumo. Con l’iPod ogni persona diventa il dj di sé stesso e obbliga in questo modo l’industria discografica a ripensare al proprio modello di business. TiVo, il videoregistratore digitale, permette ai telespettatori di crearsi il proprio palinsesto personale indebolendo così sia i network televisivi che gli investitori pubblicitari. Il trionfo dell’individualismo ha coinvolto anche altri aspetti della vita di tutti i giorni: il sito moveon.org ha dato l’opportunità all’uomo della strada di scavalcare le tradizionali strutture politiche ed esprimere le proprie opinioni tra i Democratici, e anche una delle istituzioni di radicata natura gerarchica come le forze armate americane ora si presenta come "An Army of One", un esercito di uno.
In questo scenario dove il singolo, specie se appartenente alle nuove generazioni, sta prendendo sempre più il controllo delle proprie esperienze, pensieri e azioni, la Reboot - un attento istituto di ricerca e analisi dei comportamenti e consumi giovanili - si è domandata se anche la fede e la religione, che hanno basato la loro forza sulla creazione di una comunità, si siano indebolite a seguito del proliferare di questa tendenza di personalizzazione e di egocentrismo. E’ nata così OMG! "How Generation Y is Redefining Faith in The iPod Era" un’indagine che ha analizzato un campione di 1385 young adults tra i 18 e i 25 anni (rappresentativo della cosiddetta Generation Y) per cercare di capire come questi vivono la fede, quali sono le loro identità religiose e come queste si riflettono sulla partecipazione alla vita civile e nella politica.
La Gen Y - oltre ad essere il motore del cambiamento dei nuovi stili di vita e dei mercati e, per ragioni anagrafiche, il futuro prossimo della società americana - è interessante da analizzare perché rappresenta la classe d’età più variegata da un punto di vista etnico: solo il 61% è composta da bianchi, contro l’84% della media degli americani e il 73% dei baby boomers. La forte ondata d’immigrazione degli ultimi decenni, specialmente da parte di ispanici e orientali, ha fatto sì che questa fascia sia anche la più diversificata dal punto di vista dei culti e delle religioni professate.
La ricerca ha individuato tre gruppi ben distinti: I Credenti (The Godly) che rappresentano il 27% della Gen Y, cioè coloro per cui la religione e la fede sono parte centrale della loro esistenza e che rispettano le tradizionali forme e pratiche religiose. Per i Senza Dio (Godless, 27%) invece la religione non gioca alcun ruolo principale nella vita: questo non significa però che non abbiano alcuna prospettiva spirituale: sono per lo più individualisti e liberali. E infine la maggioranza indecisa (The Undecided Middle 46%), che ha nei confronti della religione e della fede un approccio incerto ma positivo.
Analizzando in profondità quest’ultimo gruppo si capisce che non vi è un sostanziale calo di fede o di spiritualità, bensì una decisiva perdita d’interesse verso le tradizionali istituzioni religiose: una preferenza per il formale e l’espressivo piuttosto che per il ritualistico e il tradizionale: ecco che i luoghi di culto (chiese, sinagoghe, moschee) si svuotano e si riempiono i club e gli stadi per i concerti delle Christian Rock Band, le comunità religiose fanno fatica a trovare nuovi adepti ma i temi spirituali continuano ad essere uno degli argomenti più vivi nelle discussioni tra amici.
Se non proprio la ricerca di un Personal Jesus come prospettavano i Depeche Mode (canzone ripresa successivamente, con significati diversi, sia da Marilyn Manson che da Johnny Cash) sembra che la maggioranza dei giovani americani insegua un Personal Cult.
La tendenza in atto del rifiuto dell’istituzione e delle organizzazioni gerarchiche è stata ben capita dalle nuove confessioni protestanti Evangeliche e Pentecostali che stanno però raccogliendo più proseliti nelle generazioni più giovani e in quelle più anziane piuttosto che tra i ventenni.
Dai dati della ricerca pare di capire che la grande ricchezza e il valore unificatore della Gen Y sia proprio nelle differenze: solo il 7% degli intervistati ammette che all’interno del gruppo di amici ci sia una uniformità di credo religioso. La Generazione Y è senza dubbio più tollerante e aperta rispetto alle altre classi d’età: in questo caso la crescita del pluralismo religioso ha portato ad un più alto livello d’accettazione delle differenze sia etniche che di stili di vita, anzi, pare che la principale paura dei ragazzi americani sia quello di cadere in una normalizzazione e standardizzazione sociale.
Rispetto alla media generale del popolo americano che è in maggioranza (41%) protestante e per il 23% cattolico, i giovani americani preferiscono non definirsi per poi finire dentro una confessione (23%): è certo però che rispetto alla generazione dei trentenni (la cosiddetta Generazione X) vi è una consistente diminuzione dell’identità religiosa protestante. Crescono relativamente, rispetto al passato, anche gli appartenenti al credo mussulmano, all’Islam e alla religione ebraica. Rarissimi i casi, almeno a giudicare da questa ricerca, di vero e proprio fondamentalismo religioso.
Forse la principale novità di questa analisi è il ruolo che la religione esercita sui giovani americani: dalle risposte si evince infatti che la fede viene vista più come uno "strumento" importante per costruire la propria identità, una sorta di palestra per formare la propria coscienza, piuttosto che la volontà e la ricerca nel credere in qualcosa di superiore per rispettarne dogmi e regole. Dalle risposte ai questionari della ricerca, infatti, si nota che chi possiede una fede più radicata e profonda riesce ad avere una visione della vita - e quindi anche una capacità di affrontare i problemi di ogni giorno (la famiglia, il sesso, lo studio, il lavoro) - più sicura e decisa.
L’altra caratteristica distintiva di questa fascia d’età è il serio e convinto impegno nel volontariato: in questo caso si trova una forte correlazione tra il credo religioso e l’attivismo nel sociale che viene affrontato sia attraverso le organizzazioni che in modo individuale. Questo però non accade per la politica per la quale l’interesse e l’impegno sono notevolmente più bassi rispetto alle precedenti generazioni: dalla ricerca non emerge alcun rapporto tra fede e l’impegno nella politica su cui non è riposta alcuna fiducia ma neanche preoccupazione, bensì totale indifferenza. Perciò i cosiddetti "moral values" e i temi religiosi che sarebbero stati il motore trainante della rielezione di Bush non hanno influito sul voto dei giovani che sono andati alle urne semplicemente per dovere civile e non per reale convinzione. Rispetto alla media nazionale degli americani, nella fascia 18-25 anni emerge un profilo progressista e indipendente ma con un sostanziale disinteresse verso la politica.