: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.
CONSIGLI A LAPO /17Pubblicitari, rivolgetevi ai figli. Se il babbo compra il suv, è perchè gliel'han suggerito loro.
Il Foglio - Giovedi 17 Marzo 2005"Papà, papà me lo compriii, daaaiii me lo compriii, ddaaiiiii?!". Questa comune e diffusa cantilena, recitata da un bambino, è in realtà l’espressione preferita e auspicata dai pubblicitari e da tutti coloro che gravitano intorno al marketing e alla comunicazione di prodotti rivolti alle "persone corte", al punto tale che è stato coniato un termine specifico, il "nag factor" letteralmente il "fattore assillo o di sfinimento": gruppi di psicologi dell’eta evolutiva da anni concentrano i propri studi non tanto sul convincerli all’acquisto, considerato che i bambini non hanno molti soldi in tasca, bensì a come persuaderli ad assillare i genitori affinché questi comprino i prodotti comunicati e desiderati. L’obiettivo sta quindi nell’individuare, teorizzare e diffondere, attraverso la pubblicità, quel genere e quel livello di assillo a cui un padre o una madre non possono dire di no.
Contro l’applicazione degli studi sul nag factor si è scagliato il catastrofista Joel Bakan autore del documentario e del libro The Corporation (distribuito da Fandango) che vede in questo approccio un insostenibile sfruttamento verso i consumatori più indifesi e plasmabili con il fine ultimo di prepararli al futuro, al loro inserimento nel mercato, per farli diventare dei bravi consumatori. Invero la realtà è ben più complessa e stratificata rispetto a quella che Bakan descrive con approccio michaelmooriano: la verità, da una parte, è che sono i bambini ad influenzare le scelte di consumo non solo dei beni a loro destinati ma anche dei prodotti e i servizi per la famiglia: anni fa un ragazzino poteva dire la sua, se interpellato, al massimo sul colore della macchina del papà, adesso impone direttamente la scelta d’acquisto del suv o della station. Ed è per questo motivo, rimanendo ancora nel settore delle auto, che le pubblicità delle aziende sono sempre più ironiche, giocose, meno legate allo status symbol ma che strizzano l’occhio a codici visivi più vicini ai fumetti, proponendo colori e forme che fino a pochi anni fa erano impensabili da applicare su un auto. Si stima che in USA i bimbi tra i quattro e i dodici anni spendano, tra doni e paghette varie, direttamente 30 miliardi di dollari, ma soprattutto influenzino 500 miliardi di dollari di acquisti dei genitori; da una recente analisi di mercato, poi, si evince che al supermercato il 40% dei"prodotti acquistati sono scelti direttamente dalle "simpatiche personcine” che sono assai più furbe e scafate di quanto si possa immaginare.
L’altra innegabile verità, che non viene presa in considerazione da Bakan, è che sono i genitori ad essere i veri soggetti deboli e fortemente vulnerabili: ora non vogliamo qui fare della psicologia spicciola, ma sappiamo bene che sono stati per primi i babbi e le mamme, per riparare le proprie assenze o disattenzioni e per incoraggiare l’autostima dei piccoli, a coinvolge i figli nelle scelte e nelle decisioni d’acquisto; per non parlare delle spese che in America chiamano il "guilt money" ovvero il denaro o i mille regali donati per rimuovere i sensi di colpa.
Nel marketing di oggi soggetto a continue rivoluzioni, non ha più senso segmentare il mercato in base a stili di vita o parametri socio-economici, ma neppure differenziare i target di riferimento per sesso o per età: durante le settimane di shopping pre-natalizio, ad esempio, entrando in un qualsiasi megastore di elettronica non era inconsueto vedere bambini che si avviavano verso i settori di elettronica sofisticata per vedere l’ultimo iPod, la nuova generazione di palmari e in generale verso gli “strumenti dei grandi”, mentre i padri si sollazzavano nei reparti dei videogiochi per la PlayStation o per telefonini.
Perciò se i bambini sono più interessati all’hi-tech e all’informatica e a giochi sempre più personalizzati ed interattivi, i quarantenni, affetti da una patologica "sindrome peterpanesca", sono alla ricerca di prodotti e oggetti che facciano riferimento alla propria infanzia: in Giappone dove questo genere di tendenze viene colto con drammatico anticipo, sta spopolando, anche a causa di un drastico calo delle nascite, una baby bambola parlante (Yumel doll) una sorta di rimedio terapeutico studiato e rivolto ad un pubblico adulto, disperatamente solo e senza animali. Una delle 1200 frasi che la bambola pronuncia è "Me lo compri?".