: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.
CONSIGLI A LAPO - 10
Perchè i rapper fanno vendere e perchè alcuni marchi prendono le distanze dall'hip-hop.
di Michele Boroni
Il Foglio - 7 Gennaio 2005
Mercedes, Gucci, Cristal, Jaguar, Hennessy: un tempo, stile lusso e buon gusto; ora, i brand più consumati, amati e citati da personaggi quali 50 Cent, Jay-Z, Ol' Dirty Bastard e da una lunga serie di altri rapper tamarri arricchiti.
La società di consulenza Agenda Inc. di San Francisco ha di recente analizzato i testi delle canzoni che hanno dominato la top 20 di Billboard nel 2004 e ha rilevato che nell’80% dei testi rap - decisamente il genere più venduto in Usa oggi - vengono citati marchi e prodotti di lusso che rappresentano dei veri e propri status symbol tra le nuove generazioni dei gangsta rapper.
Tutto questo in fondo non è una sorpresa: i giovani neri e i latinos che vivono nelle grandi metropoli amano celebrare il loro successo nella vita e negli affari in modo assai visibile e l’effetto è che i testi delle canzoni rap tendono a raccontare la loro esistenza come un viaggio all’interno di uno shopping center. Già negli anni ’80, alla nascita della cultura hip-hop, i marchi dei prodotti venivano trattati come feticci: basti pensare ai loghi Mercedes e Volkswagen rubati dalle macchine dell’Upper West e usati come ciondoli appesi ai catenoni palesati dai ragazzi di Harlem o alla canzone dei Run Dmc "My Adidas". Adesso però la posta in gioco è decisamente più alta e sono molti i rapper come P.Diddy o Snoop Doogy Dog che si sono trasformati in imprenditori e hanno creato dei propri marchi e linee di prodotto nei settori più diversi, dall’abbigliamento agli alcoolici.
Così se il rap all’inizio degli anni ’90 era la CNN del ghetto - come disse Chuck D, il leader dei Public Enemy - adesso si è trasformato in una sorta di Carosello, di Superbowl (inteso come ricco contenitore pubblicitario) dei rapper arricchiti troppo in fretta.
Il product placement di marchi di lusso all’interno dei testi dei pezzi rap (e nei videoclip) sta incrementando le vendite e i fatturati dei prodotti in questione che, fino a pochi anni fa, erano destinati solo ad un target wasp danaroso: è il caso ad esempio dello champagne Cristal che viene prodotto dalle migliori uve dei 200 ettari di vigneti nella Champagne: la produzione è ovviamente scarsa e negli ultimi anni la Roederer non sempre è riuscita a far fronte alle richieste dei club e dei ristoranti legati alla comunità hip-hop ed a quelle esose ed eccessive delle star del rap: pare che il rapper Jay Z non inizi un concerto senza due Matusalem freschi nel backstage.
Quel che stupisce è che il cognac o il brandy siano diventati le bevande più hip nei club californiani: Hennessy e Courvoisier fino a poco tempo fa erano considerati dei liquori da connoisseur da gustare comodamente in poltrona, adesso invece sono gli ingredienti più usati per cocktail da wild party. Questo successo (una crescita delle vendite pari al 30% in due anni) non programmato o preventivato ha portato le rispettive case madri a un radicale cambiamento e ripensamento delle politiche commerciali e di marketing. Per esempio è stata cambiata la comunicazione del prodotto, e gli spazi pubblicitari su riviste classiche come Forbes o Esquire sono stati sostituiti da investimenti su Vice, Vibe Magazine o in programmi quali YO! Mtv Rap.
Non tutti i marketing manager però sono felici di vedere i propri marchi associati a quella parte della scena hip-hop che esalta la misoginia, la violenza e il crimine, così molte aziende stanno prendendo le distanze dal fenomeno. Ed è quello che sta succedendo anche tra gli sponsor della NBA.
La "nuova cultura hip-hop" infatti non ha solo influenzato le classifiche musicali e certi consumi, ma sta fortemente trasformando anche il campionato professionistico di basket: finito il tempo dei campioni "puliti" come Larry Bird o Kareem Abdul-Jabbar o delle eleganti "macchine fabbrica soldi" alla Michael Jordan, adesso il massimo campionato basket USA è popolato da giovani energumeni cresciuti a Tupac Shakur (stella dell’hip-hop rimasta uccisa in una sparatoria) e violenza di strada. Se in passato i consulenti d’immagine del campionato professionistico di basket avevano cercato di utilizzare l’hip-hop come strumento di marketing per attirare le generazioni più giovani, adesso l’NBA è praticamente in mano all’hip-hop. Quindi musica martellante durante le partite, dichiarazioni di guerra tra i leader e continue risse in campo. Risultato: i media si sono buttati a pesce su questa crisi ed hanno così iniziato una campagna denigratoria nei confronti della nuova tendenza "gangsta basket": i giocatori non rappresentano più testimonial appetibili per le aziende e molti sponsor, specialmente quelli più istituzionali e legati ad una fascia di pubblico più allargata e "moderata", stanno iniziando a disinvestire soldi dal parquet.