: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.
CONSIGLI A LAPO Gli architetti odiati da Tom Wolfe si vendicano con progetti "anticipatori di fururo"
Il Foglio - 24 Febbraio 2006“Maledetti Architetti” è il titolo di un pamphlet di Tom Wolfe. Il giornalista e scrittore americano se la prende con gli atteggiamenti da guru della casta degli architetti, perlopiù incapaci di lavorare al servizio dei committenti, volti esclusivamente a imporre la propria visione della realtà. Wolfe nel suo saggio - uscito nel 1981 - accusa gli architetti di aver causato dei danni enormi all’urbanistica, progettando asettici “scatoloni di cristallo”, palazzi di vetro tutti uguali che in quel periodo dilagavano negli Stati Uniti.
In Europa, invece, sono stati i designer a rovinare tutto. “Designer” è la parola chiave di questi ultimi vent’anni: chi non era architetto, e quindi aveva solo il diploma di geometra, poteva trasformarsi senza colpo ferire in designer e vantarsene: perfino coloro che un tempo definivamo stilisti, ora vogliono essere chiamati designer. Siamo, in definitiva, un popolo di poeti, navigatori e designer. Costoro hanno messo lo zampino su qualsiasi cosa: dai divani alle biciclette, dalla pasta allo scopino da bagno (“Merdolino” progettato da Stefano Giovannoni per Alessi nel 1993).
Anche le aziende hanno approfittato - e abusato - dell’improvvisa popolarità guadagnata in questi ultimi anni da designer e architetti, affidando loro non solo il restyling dei prodotti ma anche la progettazione di costosissime sedi e showroom, senza che dietro ci fosse un vero e proprio “progetto”, ma solo per il gusto di avere qualcosa di firmato dal noto e stimato professionista.
Sembra però che in questi ultimi anni gli architetti - quelli veri, quella con la “cultura del progetto” - stiano offrendo con i loro lavori un’interpretazione concreta e anticipatrice di ciò che sarà il futuro prossimo, non solo dell’azienda, ma anche della nostra vita quotidiana.
L’architetto - che in questo caso riveste i panni dell’artista - diventa quindi un importante ispiratore capace di interpretare i valori e l’identità del marchio in modo creativo e significativo.
Il settore della moda è stato il primo ad accorgersi di questo: le maison del lusso, dopo aver raggiunto il successo e conquistato il mercato mondiale, vogliono diventare immortali come i grandi musei e, per raggiungere questo obiettivo, hanno pensato di nobilitare il proprio marchio affidandosi alle visioni progettuali di alcuni architetti visionari.
Miuccia Prada è stata sicuramente la prima a intuirlo: ha affidato al celebre Rem Koolhaas la progettazione dei propri flagship store di New York e Los Angeles: negozi privi di insegne, di vetrine, e dei canonici strumenti di comunicazione delle boutiques. In sostituzione a questi cliché Koolhaas ha ideato gli “Epicentri”, cioè degli spazi in cui teatro, tecnologia e video arte si inseriscono come dei cortocircuiti all’interno del negozio. Le cabine di prova sono dotate, invece del solito specchio, di una telecamera, mentre l’esposizione dei prodotti è ispirata alle procedure aeroportuali di distribuzione dei bagagli, con tanto di nastri a rullo e porte con metal detector: metafore delle procedure di sicurezza sempre più diffuse nel mondo contemporaneo. Tutti elementi spesso inquietanti e non sempre d’immediata comprensione, ma che mirano a trasformare lo shopping in una nuova “esperienza ambientale”.
Stessa cosa per Tod’s, che ha fatto progettare e realizzare all’architetto Toyo Ito il nuovo quartier generale di Tokyo. L’edificio, che si sviluppa su 2500 metri quadrati e in sei piani, ospita boutique, uffici, sale-riunione, un roof garden e altri spazi in cui si avvicenderanno mostre ed eventi culturali. L’architettura si ispira all’intrecciarsi dei rami degli alberi - in piena armonia con il viale di Omotesando Avenue. Gli alberi "disegnati" sulla facciata creano un reticolo attraverso il quale poter osservare la città, lasciando tuttavia che la luce penetri all’interno dell’edificio. Un progetto, questo, di grande “qualità urbana”, in cui emerge un profondo rispetto per il cliente-consumatore-cittadino. La struttura dell’albero, che dà forma e senso all’edificio, è una sorta di enorme ombra cinese che testimonia la grande influenza della cultura orientale sul progetto.
Uno dei terreni più ricchi di stimoli è oggi il rapporto tra spazio pubblico e spazio privato e i nuovi centri commerciali - di qualsiasi tipo essi siano – portano necessariamente a ripensarlo con una nuova prospettiva. I nuovi negozi progettati da architetti realmente creativi e anticipatori, non sono più soltanto delle forme auto-celebrative dell’azienda dedicate ad una piccola élite di consumatori: diventano invece uno spazio sociale, al pari dei grandi musei, spazio in cui il brand assume in pieno la responsabilità della sua funzione pubblica. In questa ottica sono stati progettati i nuovi negozi di Nike, ma anche, ad esempio, il nuovo Polo di Fiera Milano o il museo MoMa di New York.
Qualcuno lo dica a Tom Wolfe.