Gli allegati di EmmeBi Blog: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.
Sunday, January 01, 2017
Kanye West: il primo imperatore dell'era hip-hop
Finita l'epoca dei giganti come Prince e Michael Jackson, il postmodernismo del pop trova il suo apice nel rapper che sta dominando la scena culturale del millennio. I suoi video sono proiettati al MoMA, i suoi album sono work in progress come performance. Lui sperimenta con stili digital e social frullando tutto con il suo carisma. E si mette in scena come opera d'arte.
“Sono un genio creativo. Non c'è un altro modo per dirlo”.
Qualcuno potrebbe sostenere che Kanye West ha l'ego un po' fuori controllo, ma si preferisce pensare che sia soltanto molto consapevole di se stesso.
In effetti Kanye Omari West - classe 1977 - è uno dei più geniali e ambiziosi musicisti pop della sua generazione. Innovativo e spiazzante, talentuoso e provocatore, il rapper e producer di Chicago è riuscito dal 2004 a oggi a realizzare sette dischi caratterizzati dal trasformismo e da un'irrequietezza produttiva che lo ha proiettato spesso al di là dei recinti del genere hip-hop tradizionale. Agli esordi ha il merito di introdurre nelle rime rap un elemento introspettivo: nei suoi primi due dischi “College Dropout” e “Last Registration” i drammi personali, le angosce e le speranze prendono il posto dei quartieri in fiamme e il traffico di droga, donne facili e collanoni d'oro. Le basi musicali e gli arrangiamenti denotano poi una grande cultura del pop e del rock, pescando a piene mani dalle tradizioni soul e dal progressive, dal funk e dalla musica orchestrale.
Ma ogni disco è una storia a sé: ogni volta un cambiamento di direzione, una nuova sperimentazione, un'asticella che, anno dopo anno, si alza inesorabilmente. Dalle ricche orchestrazioni soul di “Late Registration” alla prima forma di hip-pop e alle collaborazioni con Chris Martin dei Coldplay e l'art director Takashi Murakami di “Graduation” (2007). Nel 2008 abbandona totalmente il rap introducendo il canto con l'autotune e la voce sintetica in “808 & Heartbreak” - facendo gridare i suoi colleghi allo scandalo, anche se poi negli anni successivi tutti nella black music li avrebbero utilizzati – per riuscire ad esprimere il suo cuore gelido e spezzato dopo la perdita della madre.
L'unicità di Kanye West sta anche nel suo pedigree, diverso da quello della maggioranza dei rapper in circolazione: West non nasce in un ghetto malfamato tra spacciatori e gangsta, ma in una quartiere borghese di Chicago cresciuto da una professoressa di inglese e un giornalista attivista; la sua scuola non è la strada, bensì la più rassicurante e formativa American Academy of Art di Chicago e per un po' anche la Chicago State University.
Il suo amore per l'arte e per i simbolismi neoclassici ed egizi si ritrovano tutti nelle canzoni e nei video di “My Beautiful Dark Twisted Fantasy” (MBDTF) del 2010, per molti il capolavoro di West, disco straordinariamente ricco e barocco, un'opera corale dove il nostro mette insieme talenti dell'indie-folk come Justin Vernon (Bon Iver) con quelli dell'r'n'b e hip-hop come Rihanna e Nicki Minaj; la critica inizia a parlare di genio musicale e inizia così una fase megalomane che dura fino ad oggi.
“Ho fatto vedere al mondo che so creare la perfezione. MBDTF potrebbe essere considerato un prodotto perfetto, ma non sono qui per la perfezione. Sono qui per sollevare il pavimento e metterne uno nuovo, musicalmente e culturalmente.”
West fa di tutto per essere il migliore in circolazione ma, soprattutto, fa l'impossibile per essere sempre sulla bocca di tutti: irrompe sul palco dei Grammy mentre Beck ritira l'Award come miglior disco dell'anno per dire che quello di Beyonce era migliore, si sposa con Kim Kardashian, “simbolo della forma pura della celebrità senza alcun contenuto specifico che ne giustifichi l'esistenza” (come ha perfettamente sintetizzato il filosofo Slavoj Žižek), si prende molto sul serio come stilista di sneakers per Louis Vuitton e vari marchi dello sportwear e annuncia di candidarsi alle Presidenziali del 2020.
Ogni presunta gaffes, mattata o gesto pubblico diventa un disordinato elemento artistico nelle mani di West, conscio del fatto che la comunicazione è la vera cultura del presente: così la lite – e finta rappacificazione - con la reginetta del pop Taylor Swift si trasforma in un verso volgare in “Famous”, traccia del suo ultimo disco, il passaggio della collaborazione come designer da Nike ad Adidas diventa una diss song, ovvero una canzone di offese e critiche nei confronti del brand USA.
Il suo penultimo disco “Yeezus” (2013) quello più autoreferenziale, dove si paragona direttamente a Dio, diventa anche il nome del suo marchio di moda, ma è anche il disco che contiene il suo brano più celebre, quel “Black Skinhead” sentito anche nel trailer “The Wolf of Wall street” di Scorsese e nella colonna sonora di “Suicide Squad”.
A differenza del compare Jay Z (con cui ha realizzato nel 2011 il disco dal titolo altisonante “Watch the Throne”) Kanye non è uomo di business – i suoi dischi in fondo non sono dei bestseller e ha recentemente dichiarato un buco di 53 milioni di dollari - ma una sorta di inarrestabile artista rinascimentale calato nella contemporaneità, mosso da un'urgenza espressiva, contornato da giovani allievi rapper e producer, art performer come Vanessa Beecroft, il regista Spike Jonze, il designer Riccardo Tisci e vecchie glorie come Paul McCartney.
Del resto il rapper di Chicago piace anche alla frangia più alta e colta di critica e pubblico in quanto capace di giocare con i linguaggi e con i media: trasforma l'ormai inutile videoclip in opera d'arte (il video di “All Day” girato dal regista Steve McQueen proiettato nel Museo di Arte Moderna di Los Angeles o il già citato “Famous” versione celebrity del dipinto “Sleep” di Vincent Desiderio) o in un videobook della maison francese Balmain.
Ma sopratutto, con un'operazione quasi situazionista, prova ad immaginare quello che sarà il futuro del disco con la morte del supporto: il suo ultimo lavoro “The Life of Pablo”, uscito all'inizio del 2016, è un'opera liquida e in continuo divenire, figlia di un mercato dove regna lo streaming – il lavoro è stato a lungo sulla piattaforma Tidal di proprietà di Jay Z – dove quindi è quindi possibile un continuo intervento dell'autore.
Kanye West si è dimostrato molto bravo con i suoni ma sopratutto con le frasi ad effetto, quindi chi meglio di lui è capace di definirsi? “Sono strambo, totalmente sincero e talvolta anche inappropriato. Se dicessi di non essere un genio starei mentendo, a me stesso e a tutti voi. Andate ad ascoltarvi tutta la mia musica. È la chiave per l'autostima. Se siete un fan di Kanye West, allora non siete un mio fan, siete un fan di voi stessi. Crederete in voi stessi grazie alla mia musica, io sono soltanto lo shot che vi fate per credere di più in voi stessi”
Keyword: Immersività e invisibilità. Le nostre vite muteranno sempre più, ma ce ne accorgeremo sempre meno. Anche perché cambierà il rapporto reale/virtuale, ormai indistinguibili
Marie Claire - Inserto #MCLIKES - Autunno/Inverno 2016/2017
La tecnologia, in questi ultimi anni, è entrata sempre più nelle nostre vite, cambiandole. A volte anche drasticamente: modificando abitudini, trasformando le canoniche modalità di relazione, inserendo nuove gestualità e nuovi riti. Nei prossimi anni molto probabilmente le nostre vite muteranno ancora di più - a casa, in ufficio, in mobilità - ma ce ne accorgeremo sempre meno.
Le parole del futuro prossimo connesse al mondo tech saranno sopratutto pervasività e invisibilità. Quello che solo lo scorso anno chiamavamo Internet of Things – ovvero tanti e vari oggetti collegati al web - si trasformerà in Internet of Everything, cioè una rete che, connettendo dispositivi, persone e dati, influenzerà aspetti sempre maggiori della nostra vita, diventando parte integrante del tessuto quotidiano.
Avete forse il timore di essere sempre più schiave di tablet e smartphone e di non riuscire più a vivere senza? Direi che non è il caso di preoccuparsi. Siamo già tutti - chi più, chi meno – all'interno di un percorso di convivenza e di riassetto di equilibri con la tecnologia. Basta vedere come si comportano i famigerati millennials, i quali ormai non fanno più caso o differenza tra le esperienze online e quelle della vita reale, tra ciò che comprano in rete o in un negozio, tra l'incontro in un locale e la chattata di gruppo su whatsapp, tra le informazioni acquisite da un giornale o sui social, tra un concerto visto in streaming e vissuto in prima persona. Tutto fa parte del bagaglio esperienziale, assai più ricco di quello di un lustro fa.
Ma come sarà il futuro prossimo? Per Douglas Coupland questa è una domanda che non vale più la pena porci; secondo lo scrittore canadese il concetto di futuro come lo intendevamo un tempo - cioè quella cosa lontana da noi e del presente - non esiste più “Il futuro è qui: siamo già dentro un sorta di presente estremo o super futuro” afferma Coupland “e tutto questo è cominciato quando non abbiamo potuto più smettere di inseguire gli upgrade, le notifiche o aggiornare l'email per paura di rimanere indietro e perderci qualcosa, in una specie di frullatore temporale che non prevede pause”.
Ma noi proviamo comunque a rispondere alla fatidica domanda: What's next? Quali saranno le tecnologie e gli oggetti del desiderio, i paradigmi e i comportamenti dei prossimi 5 anni?
C'è qualcosa di profondamente antropologico nel nostro rapporto con la tecnologia: partiamo quindi da noi e da ciò che utilizziamo per ricevere informazioni e connettersi con la realtà, ovvero i sensi. Fino ad oggi quelli che abbiamo utilizzato nei confronti dei vari dispositivi digitali sono stati la vista e il tatto: il primo senso è da sempre sollecitato per decodificare le mille immagini sugli schermi che ci circondano. I nostri polpastrelli, con l'avvento di smartphone, tablet e tutti gli altri dispositivi touch, sono diventati i principali mezzi per entrare in relazione con il digitale (nomen omen).
Nei prossimi anni il senso più sollecitato sarà invece l'udito: attraverso gli assistenti personali dei principali sistemi operativi sempre più sofisticati – Siri di Apple, Cortana di Microsoft e la nuovissima Alexa di Amazon – sarà possibile anche sostenere piccole conversazioni con i vari smartphone e tablet. I team di ricerca e sviluppo sono al lavoro su nuove tecniche di elaborazione del linguaggio per rendere l'assistente vocale capace anche di interpretare il tono della voce, proprio come nel film “Her” di Spike Jonze, dove un introverso Joaquin Phoenix si innamorava della voce profonda e sensuale di Scarlett Johannson.
Sono piuttosto convinto che la voce diventerà sempre più la nostra nuova interfaccia con i dispositivi tech, e così cuffie e microfoni saranno gli accessori di cui non potremmo più fare a meno. In realtà anche oggi la voce viene già molto usata, basta vedere come si comportano i teenager, che ormai comunicano attraverso whatsapp non più con i messaggi scritti e sempre meno con gli emoji, bensì usando i più rapidi e semplici messaggi vocali. Alcuni futurologi hanno già preconizzato che il prossimo social network sarà costituito principalmente da messaggi vocali, come una gigantesca segreteria telefonica nella cloud.
Certo, per molti di noi parlare a una macchina rappresenta ancora un imbarazzante ostacolo; provate però a pensare che fino a due anni fa la pratica del selfie sembrava una cosa assurda e solo per nerd e oggi è diventata per tutti una sorta di check-in e testimonianza obbligatoria in luoghi e situazioni speciali.
Questo sviluppo della voce/orecchio come nuova piattaforma semplice e naturale di interfaccia con la tecnologia probabilmente rallenterà ancora di più la crescita della cosiddetta wearable tech, come ad esempio gli smartwatch: il fatto è che non abbiamo bisogno di nuovi oggetti tecnologici – magari dovendo imparare nuove istruzioni per l'uso – e tantomeno da indossare. Le prossime innovazioni saranno tutte basate sul cosiddetto Sistema Operativo, il cuore e il cervello dei dispositivi tech che già possediamo, l'evoluzione della loro intelligenza artificiale.
L'unica tribù che continuerà ad utilizzare alacremente la tecnologia indossabile sarà quella formata dagli sportivi e da tutti coloro che hanno come obiettivo primario il proprio benessere fisico: i fitness tracker, braccialetti e sensori che permettono di monitorare e controllare la propria attività fisica, le abitudini quotidiane, il riposo notturno e l'alimentazione. Anche in questo caso la ricerca sta facendo prodigi e sono già in sperimentazione prototipi di sensori adesivi da applicare sulla pelle, in pratica dei piccoli cerotti, che trasmettono le informazioni vitali a un'applicazione sullo smartphone per visualizzare i dati, fissare degli obiettivi e personalizzare i rilevamenti al fine di migliorare il proprio stile di vita.
A proposito di app: è il momento di scegliere quelle che utilizziamo veramente sui nostri smartphone ed eliminare le altre che non apriamo mai. Il mercato delle applicazioni è saturo e, tranne pochi rari casi – Whatsapp, Snapchat, Instagram - non funziona economicamente e i prossimi anni saranno caratterizzati da una rapida chiusura di quelle non sostenibili dal punto di vista di business. Ognuno di noi ha installato sul proprio smartphone una media di trenta applicazioni, ma ne usa in media solo cinque. Quindi le circa 2 milioni di applicazioni presenti sul mercato diventeranno poco più di 200mila.
Ma veniamo a quello che verosimilmente influenzerà, nel bene e nel male, il nostro futuro tecnologico, ovvero la realtà virtuale. Passati i fallimenti preistorici di Second Life, la virtual reality (VR da ora in poi) si è trasformata ed è realmente evoluta: nei prossimi anni gran parte dell'intrattenimento domestico (film e videogiochi in primis) sarà declinato attraverso gli Oculus Rift (di proprietà di Mark Zucherberg) e gli altri visori e caschi che i grandi marchi digital hanno elaborato. Ma la vera notizia è che il grande sviluppo della VR avrà delle floride applicazioni sull'ecommerce. Nei prossimi anni sarà davvero possibile realmente “entrare in un sito”, così come si entra in un negozio.
In questo caso l'altra parola chiave del futuro prossimo sarà immersivo: il classico website diventerà un vero e proprio “luogo” d'acquisto dove potersi aggirarsi tra vestiti e prodotti di ogni tipo, e decidere se acquistarli, il tutto indossando un casco VR e confermando l'acquisto con un semplice gesto della testa.
Oggi tutti i principali attori dell'ecommerce, da MasterCard a Vantiv (la più grande azienda di gestione pagamenti online) fino a Paypal, stanno lavorando per rendere l'esperienza d'acquisto online più emozionale e completa. In pratica significa avere l'impressione reale di stare dentro un negozio, capire come “calzano” quelle scarpe o se l'abbinamento colore tra abbigliamento e accessori è quello giusto.
Invisibile, pervasiva e immersiva; così si preannuncia la tecnologia con cui avremo a che fare nei prossimi anni. Tutto comunque dipenderà, come sempre, da noi, da come e quanto useremo questi nuovi ritrovati nella vita di tutti i giorni.
Do you wanna play?