: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.
Le rivoluzioni del settore pubblicitario e le anticipazioni di "Mad Men"
Il Foglio - 30 Luglio 2013
Nel mondo dell'advertising le fusioni
sono all'ordine del giorno, quasi una routine.
Tutte le varie sigle delle principali
agenzie pubblicitarie (BBDO, TBWA) sono frutto di operazioni di
merger & acquisition. Fondendosi tra loro le agenzie riescono ad
avere una maggiore forza contrattuale nei confronti dei clienti in
sede di gara e a sfruttare certe economie di scale del terziario
avanzato, ma spesso sono anche generatrici di crisi e aspri conflitti
al proprio interno.
Gli amanti delle serie tv americane
questo lo sanno bene. Nella seconda e sesta stagione di Mad Men
(quest'ultima ancora inedita in Italia), la serie culto sul mondo
pubblicitario negli anni 60, l'agenzia Starling & Cooper passa
attraverso la fusione con l'agenzia inglese Puttnam, Powell &
Lowe, finita poi malamente, e poi con la sua principale concorrente
Cutler Gleason Chaough per poter vincere la gara per assucurarsi il
cliente Chevrolet, creando però anche forti tensioni tra i soci
delle rispettive agenzie.
Ma oggi nel 2013 le grandi operazioni
non si fanno più tra le singole agenzie, bensì tra i grossi gruppi
di comunicazione che possiedono non solo agenzie di advertising ma
anche agenzie di pr, centri media e digital agency. La fusione
franco-americana tra Publicis e Omnicom Group comunicata
improvvisamente nel pomeriggio di domenica si inserisce in questo
contesto, diventando leader mondiale del mercato pubblicitario con un
fatturato complessivo di 23 miliardi di dollari e superando WPP, il
gruppo inglese di Martin Sorrell, fino a l'altro ieri al vertice del
comparto dell'advertising (con 17 miliardi di dollari di revenue).
Ma alla fine in questa fusione e
conseguente ulteriore concentrazione del mercato della comunicazione,
chi è che vince e chi perde?

Sicuramente a vincere è Maurice Levy a
capo di Publicis, vero fautore dell'operazione, che a 71 anni non
dovrà più pensare al proprio diretto successore, ma potrà
pianificare in grande il futuro del proprio gruppo, al di là degli
inevitabili problemi futuri con l'antitrust. L'altro grande vincitore
è il vero asset di questi ultimi anni, ovvero i “big data”,
l'enorme mole di dati e informazioni digitali che oggi permettono di
prendere decisioni più efficaci e raggiungere precisamente il
target: John Wren, CEO di Omnicom ha dichiarato che l'obiettivo
dell'operazione è essere più forti nel settore digitale e nella
pubblicità data-driven. Non dobbiamo però dimenticare che, in
fondo, i dati non appartengono a Pubblicis Omnicom, bensì ai propri
clienti. Paradossalmente, a vincere sono anche i concorrenti più
piccoli: 130.000 dipendenti del gruppo significa burocrazia, lotte
interne e decisioni pachidermiche. Brad Kay, presidente della
piccola agenzia creativa indipendente SS+K ha dichiarato che i
prossimi mesi saranno strategici per andare a caccia dei clienti più
interessanti (e insoddisfatti) in casa Publicis-Omnicom.
A perdere in questa operazione –
oltre a Martin Sorrell – sono proprio i clienti delle agenzie
facente parti del gruppo (in casa Publicis c'è Saatchi&Saatchi e
Leo Burnett, mentre in Omnicom le americane BBDO, DDB e TBWA). Oggi
le aziende sono alla ricerca di una maggior agilità, di strutture
snelle per prendere decisioni rapide, quasi in tempo reale, in un
mondo complesso e in continua mutazione. E poi c'è il problema di
risoluzione dei conflitti tra i propri clienti: Omnicom ha lavorato a
lungo con Pepsi, mentre Coca-Cola è un cliente Publicis, stessi
problemi con le “telefoniche” AT&T e Verizon, big-spender e
acerrimi concorrenti del mercato.
In Mad Men problemi del genere – nel
caso specifico si trattava di compagnie aeree e marchi di automobili
- rischiano di far saltare più volte l'operazione (e i nervi dei
soci), e si sa come la fiction riesca ad anticipare perfettamente la
realtà.
Infine la grande sconfitta di questa
mega-operazione potrebbe proprio essere la creatività. In fondo la
pubblicità è un business molto semplice: le agenzie aiutano i
clienti a far crescere il proprio business, costruendo e comunicando
i brand e trovando nuovi clienti. Queste holding che si vengono a
creare rischiano di aggiungere solo complessità, rimpastare
organigrammi e far perdere tempo al lavoro quotidiano solo per far
accrescere il valore finanziario del gruppo.