: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.
Scivoli d'emergenza
Che cosa cambia per il marketing delle super aziende dopo il grande caso dello steward ribelle
Il Foglio - 19 agosto 2010
Il
bel pezzo di Peggy Noonan sul Wall Street Journal pubblicato ieri sul Foglio racconta - senza mezzi termini e giri di parole, ma con esempi pratici - la profonda delusione e disaffezione dei consumatori/persone nei confronti della totale assenza di servizio nell'economia dei servizi. Un customer service abbandonato a sé stesso, al punto da far generare nel pubblico una forte immedesimazione verso la figura dello steward esasperato che si lancia con lo scivolo d'emergenza. Un campanello d'allarme al quale non possiamo e non dobbiamo rimanere indifferenti. Di certo c'è il passaggio repentino, come testimoniato dalla stessa Noonan, da un'economia basata sull'industria ad una basata esclusivamente sui servizi, ma la cosa più grave è che le aziende sono giunte a questo traguardo totalmente impreparate e in un contesto di recessione tale da mostrare profonde lacune sull'oggetto dello scambio, ovverosia il servizio.
Da una parte le società di servizi hanno tagliato i costi fino all'osso, lo stipendio del personale di front line - quello che ha il contatto diretto con il cliente - è stata ridotto (compreso sussidi o pensioni), ed infine il ricorso massiccio all'outsourcing se ha reso più snello il conto economico, non ha di fatto giovato sull'efficienza del servizio finale. Il risultato è un grado di insoddisfazione dei dipendenti tra i più alti registrati negli ultimi trent'anni, il che pare strano in un momento di elevata disoccupazione, almeno negli States. In realtà i due fenomeni sono strettamente collegati: i dipendenti sono stanchi di condizioni difficili e offerte da potenziali datori di lavoro ingannevolmente e irrealisticamente basse. Dall'altra parte ci sono i consumatori che sono sempre più abituati a una tecnologia self-service che fornisce risposte immediate, e spesso si trovano disarmati e senza una via d'uscita di fronte alle carenze e alle lacune dei servizi guidate da “risorse umane”.
Rabbia, frustrazione e incazzature di vario tipo sono quindi i sentimenti che prevalgono sia da una parte che dall'altra. Nel mondo reale.
Se però rivolgiamo lo sguardo e l'orecchio verso l'alto, all'altezza dei 7th floor delle aziende e della big corporation, nei documenti ufficiali e nei resoconti dei consigli di amministrazione, è tutto un fiorire di parole come attenzione, cura, ascolto, rispetto della persona, cliente o dipendente che sia, e la cosa traspare anche nelle pubblicità istituzionali di color celeste e verde edificante e con il font arrotondato e pulito.
Insomma, la distanza è abissale.
L'impressione è che eventi di impazzimento come quello dello steward Steven Slater, rischiano di moltiplicarsi sia da parte dei dipendenti sia degli utenti finali per dare inizio a quella che è a tutti gli effetti una “customer service war” come è stata efficacemente sintetizzata oltreoceano.
Oggi le aziende e i brand hanno l'opportunità di interrompere questa situazione. Come? Con meno proclami e promesse, ma più trasparenza e onestà, ad esempio riconoscendo i propri errori e trattando le proprie “risorse” come persone. Instaurando un approccio e una relazione all'interno e all'esterno dell'azienda che si basi realmente su responsabilità e fiducia. Il fatto che in questi giorni, in contemporanea al caso Slater, sia esplosa anche l'accusa di molestie sessuali dell'amministratore delegato di una delle aziende che più di altre in passato si è vantata della propria cultura d'impresa comunicando il livello di felicità all'interno dei propri uffici, non può essere solo una pura coincidenza.
Oggi non è più tempo di visibilità, ma di credibilità e reputazione, valori che alla fine si costruiscono e si solidificano grazie alla risonanza delle persone che, grazie ad esperienze positive, avviano quel tam tam personale, formando un interesse condiviso che poi si rivela il canale di comunicazione più efficace per l'azienda.
Prendendo ad esempio dalle molte aziende del Nord Europa come Volvo, Ikea, Lego e Nokia - solo per citare le più conosciute – le quali hanno basato il loro successo oltre che a prodotti ben realizzati anche alla messa in pratica di valori quali rispetto, responsabilità e un'autonoma sensibilità nei confronti dei propri stakeholder. La fidelizzazione non esiste se non c'è reciprocità, ovvero uno scambio di opinioni ed esperienze che consolidino un confronto aperto con i propri interlocutori.
Insomma, il futuro è nel marketing relazionale.
L'importante è non declamarlo, ma metterlo in pratica.