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Gli allegati di EmmeBi Blog: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.

Wednesday, April 24, 2013

 

LONG LONG PLAYING

Non solo nostalgia: vinile e vecchio negozio di dischi hanno creato ancora qualcosa da dire nel mercato della musica. Oggi è il Record Store Day.

 Il Foglio - 20 Aprile 2013


 “Il negozio puzza di fumo rancido, di umido, e di copertine plastificate, ed è stretto e squallido e sporco e stipato; questo è l’aspetto che deve avere un negozio di dischi, e solo i fan di Phil Collins amano i negozi dall’aria pulita e salubre come in un quartiere residenziale in periferia”. Poche righe per la descrizione di un mondo. Respingente per molti, ma attraente per quella tribù unita dall’amore ossessivo per la musica registrata su un supporto fonografico. Questa è la descrizione che Nick Hornby fa nel suo “Alta Fedeltà” di Championship Vinyl, il negozio di dischi di proprietà del protagonista del romanzo e che rappresenta qualcosa di più di un semplice luogo di lavoro. Il romanzo dello scrittore inglese uscì nel 1995: da allora sono trascorsi 18 anni dell'ordinaria convenzione cronologica, ma un eone se si considera quello che è successo nel mercato musicale. Nel 1995 stava appena nascendo Amazon (ma vendeva solo libri), non era ancora nato l'algoritmo di decompressione dei file musicali mp3, né Napster, né l'iPod, e tanto meno iTunes. Ah, e le musicassette avevano ancora un vasto mercato.
Al tempo c'erano tre principali categorie di negozi di dischi: da una parte i megastore, cioè le grandi catene globali, gli ipermercati della musica delle grandi città, le Tower Records (in USA), gl HMV, i Virgin Megastore (da noi in Italia i Ricordi Megastore e le Messaggerie Musicali), che soddisfacevano tutti i gusti musicali, specialmente i più popolari, e le cui vendite erano trainati da forti economie di scala e promozioni. C'erano poi i classici negozi di dischi, di piccole e medie dimensioni, quelli che stavano in provincia, magari in centro città, anch'esse di vocazione popolare, con la disponibilità dei principali successi e un esiguo repertorio di pop-rock e classica. E infine c'erano i cosiddetti negozi indipendenti, piccoli esercizi allocati generalmente in periferia, specializzati in rock o in sottogeneri, poco curati esteticamente, popolati principalmente da appassionati, primi fra tutti i gestori stessi dell'esercizio. In pratica quello descritto da Hornby. Dopo 18 anni e la rivoluzione digitale che ha travolto tutto il mondo musicale, quest'ultimi sono gli unici negozi che ancora strenuamente tentano di resistere. I megastore sono falliti perché non potevano più contare sui grandi numeri necessari a garantire la loro esistenza (Tower Records è fallita nel 2006; in Francia e in Italia stanno chiudendo Virgin e Fnac, e il gruppo HMV che nel 2006 valeva 850 milioni di sterline oggi è valutato circa 5 milioni, carico di debiti e con vendite in picchiata) e così anche i piccoli negozi generalisti, soffrendo della crisi delle vendite dei dischi, o hanno chiuso i battenti o hanno gradualmente ridotto lo spazio dedicato alla musica. Oggi vendono prevalentemente smartphone.
Anche moltissimi indipendenti hanno dovuto abbassare le saracinesche, però tra tutti sono quelli che continuano a resistere e, paradossalmente, per mantenere la loro sopravvivenza hanno continuato ad essere ancora più di nicchia, ancora più settoriali, rimettendo perfino sullo scaffale il vinile, che per molti sembrava ormai un supporto morto e sepolto, e le cui vendite sono le uniche in continua ascesa (nel 2012 le vendite globali sono arrivate a 177 milioni di dollari, un livello - a valore - che non si vedeva del 1997).
Per celebrare questa sorta di “fortezza di resistenza musicale” da circa sette anni è stato istituito il Record Store Day, un'iniziativa ideata tra gli altri da Jack White l’ex-leader dei White Stripes, artista e poli-strumentista, inizialmente per celebrare gli oltre 700 negozi di musica indipendente degli Stati Uniti, ma anche quelli presenti nel resto del mondo. L’idea è stata negli anni accolta con giubilo da pubblico e addetti ai lavori: questi ultimi hanno organizzato una serie di iniziative e offerte legate alla giornata che ogni anno promuove la vendita indipendente di dischi e vinili. Piccoli festival rock di fronte ai negozi e riedizioni di dischi limited edition di grandi successi. Quest'anno si svolgerà in tutto il mondo il 20 aprile e, per l'occasione, artisti che vanno da David Bowie ai Phoenix, dagli Stones agli XX, faranno uscire edizioni in vinile dei loro grandi successi.

Anche in Italia questo fermento artistico ha contagiato il mondo musicale: molti negozi e locali che hanno deciso di aderire proietteranno “Record Store Day”, intitolata “Last shop standing – The rise, fall and rebirth of the Independent record shop” un documentario girato da Pip Piper che descrive le dinamiche dei negozi di dischi negli ultimi cinquant'anni: dalla crescita capillare degli anni Sessanta con l'esplosione del rock come fenomeno di massa, alla crisi generata dall'avvento delle nuove tecnologie fino alle strategia di sopravvivenza per resistere alla crisi economica.
Il Teatro dal Verme di Milano, sempre il 20 aprile, sarà cornice della “Piazza della musica”, un luogo nel quale trovare il “Music crossing corner”, per lo scambio dei propri vinili usati, stand di alcuni negozi storici di dischi meneghini, oltre che alcuni incontri di approfondimento condotti, tra gli altri da Enrico Ruggeri, Luca De Gennaro, dj e direttore artistico di MTV Italia, lo scrittore Aldo Nove e il giornalista musicale Enzo Gentile. Altre iniziative del genere sono state organizzate a Torino, Roma, Bologna, Napoli e Firenze (maggiori informazioni sul sito www.recordstoreday.com ).
Ma chi pensa che questo sia l'ennesimo evento per nostalgici e collezionisti per raccogliere fondi e consensi al fine di salvare la specie in via di estinzione (il negozio di dischi, appunto) non è sulla strada giusta. Non è certo un caso che anche un colosso come Amazon - che, da un certo punto di vista, è tra le cause della rapida chiusura di molti record store – sia uno tra i promotori di questo Record Store Day. Sembra un paradosso, ma non lo è.
Il negozio indipendente di dischi rappresenta oggi un elemento paradigmatico che contiene caratteristiche e valori fondanti per il futuro del music biz. Questa occasione ci permette quindi di fare delle riflessioni sul mercato musicale e intercettare alcune linee di tendenza già in corso.
Negli ultimi anni si è sempre analizzato il mercato musicale focalizzando la lettura sulla smaterializzazione dei supporti, sull'emergere della musica liquida ed evanescente, composta di bit pronti ad essere facilmente piratati.
L'ennesima conferma che il disco non è più il fine ultimo di un progetto musicale, bensì uno dei tanti strumenti di promozione dell'artista o della band, una sorta di biglietto da visita per farsi conoscere e per poi monetizzare con altro (concerti, cessione dei diritti d'utilizzo delle canzoni per pubblicità o colonne sonore di film o serie tv, o altri tipi di sfruttamento commerciale..); lo stesso motivo per cui oggi non si parla più di mercato discografico, ma di mercato della musica (separata dal supporto) e che ha portato le case discografiche a diventare sempre più agenzie di management dei propri artisti. Concetti ormai ben digeriti e assimilati dagli addetti ai lavori (anche se, talvolta, in grande ritardo).
Tuttavia non è mai stato dato grande risalto all'importanza degli spazi, o meglio, dei luoghi della musica. Però i segnali sono piuttosto evidenti.
Al di là dell'influenza congiunturale della crisi dei consumi, da alcuni anni i concerti dal vivo rappresentano l'unico business che funziona in campo musicale: se è vero che i festival rock in Italia non riscuotono grande successo senza un headliner forte - quest'anno ad esempio non si terranno l'Heineken Jammin' Festival e il Rock in IdRho – mai come quest'anno il cartellone estivo dei concerti è così folto. Solo allo stadio di San Siro si esibiranno tra giugno e luglio Bruce Springsteen, Depeche Mode, i Bon Jovi, Robbie Williams e Jovanotti.

Anche i luoghi di produzione della musica diventano territori mitici di conoscenza e fonte di grandi narrazioni. In questa logica si spiega il successo del progetto “Sound City” film e disco, ideato da Dave Grohl che fu batterista dei Nirvana e ora leader della band dei Foo Fighters: Sound City è uno studio di registrazione di Los Angeles che esiste fin dagli anni 60, neanche uno dei più celebri e ricchi (non come il londinese Abbey Road o il newyorkese Avatar, ex-Power Station, per dire). Sound City è uno studio di registrazione bruttarello (si trova in un brutto capannone nella zona industriale di LA, il cui parcheggio spesso si allaga) e anche gli interni non sono esteticamente piacevoli, ma ha un gran bella console e una stanza che ha un suono perfetto per la batteria. Qui hanno inciso dai Fleedwood Mac a Johnny Cash, da Tom Petty ai Nirvana. Dave Grohl racconta questo piccolo grande luogo, attraverso storie e aneddoti memorabili, con un tono forse un po' nostalgico, ma fortemente emozionale. Il film e il disco (quest'ultimo inciso da un supergruppo formato da gente come Paul McCartney insieme a Trent Reznor e altri componenti di hard rock band americane) presentati al Sundance Festival, hanno avuto un clamoroso e inaspettato successo di pubblico e di critica per un piccolo documentario musicale. Sarà sicuramente uno dei tanti effetti della retromania, ma la magia del luogo continua ad avere il suo sostanziale impatto.
Ma torniamo ai negozi di dischi, o meglio, ai luoghi in cui si consuma/acqusta/ascolta musica, perché di questo in fondo si parla: l'impressione è che la cosiddetta “rivoluzione digitale” che vorrebbe vederci legati a doppio filo alla rete e ai nostri device per l'ascolto della musica, forse è sovrastimata. Il dipartimento Global Insights della EMI ha condotto quattro anni di ricerche raccogliendo dati, informazioni e feedback da oltre un milione di persone in tutto il mondo e i risultati sono stati presentati al SXSW, il grande festival-incontro per addetti ai lavori del music biz che si svolge ogni anno a Austin. La ricerca rivela che il 73 per cento non ha mai sentito parlare della "nuvola", il 68 per cento non conosce Shazam e il 67 per cento ignora cosa sia Spotify, il servizio di streaming presente da alcuni anni in tutto il mondo. La stessa ricerca rivela che oggi il fatturato discografico è generato per due terzi da supporti fisici e la radio resta lo strumento di ascolto e di scoperta musicale preferito davanti a cd, siti web, video su YouTube, file Mp3, concerti e festival, video musicali in televisione, servizi di streaming e, buon ultimi, i social network come Facebook e Twitter. Il fatto che la vecchia e cara radio sia ancora il primo medium di conoscenza e fruizione della musica deve far riflettere: la richiesta di una guida fidata che informa, consiglia e propone una selezione musicale, rimane un'esigenza fondamentale che trascende qualsiasi tipo di tecnologia, anzi, dove la presenza umana diventa un valore inestimabile.
In fondo i negozi di dischi, in particolare quelli indipendenti, non erano e non sono soltanto un semplice esercizio commerciale, ma soprattutto luoghi di incontro nei quali gli appassionati di musica si recano, magari il sabato pomeriggio, per vedersi con altri amici che condividono la stessa passione e con cui scambiare informazioni, opinioni, pareri, mentre si ascolta l'ultima novità o si scopre il vecchio disco di una band di culto. E le storie che generano questi rapporti, i personaggi che popolano il negozio e le richieste bizzarre degli avventori rappresentano un serbatoio narrativo straordinario che è stato alla base del successo del libro citato di Nick Hornby (e il film che lo ha seguito), ma anche di molti altri libri. Tra i tanti libri ci piace citare il divertentissimo “L'ultimo disco dei Mohicani” (Castelvecchi) di Maurizio Blatto, giornalista musicale proprietario di un negozio di dischi specializzato in vinili che, nelle pagine del libro, diventa l'ombelico di un mondo vorticante fatto di vezzi, vizi, felicità, ossessioni e brandelli di vita pulsante, tutti imperniati sulla musica contenuta in quegli oggetti circolari di materiale vinilico.

Non basta avere a disposizione tutta la discografia del mondo (Spotify e Deezer, due tra i principali servizi di streaming musicale garantiscono l'accesso istantaneo a un catalogo di 20 milioni di brani musicali), i filtri di affinità per selezionarla (“se ti piace questo, allora ti piace quest'altro”) e le persone con cui discuterne in rete, c'è ancora bisogno di quella figura che gli americani chiamano “curator”, ovvero di qualcuno che copra il ruolo di reale filtro e setaccio; quella figura perfettamente incarnata dal proprietario o commesso del negozio di dischi che, conoscendo i gusti del cliente, lo consiglia, gli fa ascoltare le novità, creando un'empatia e una relazione consolidata da una passione comune.
Ed è proprio su questo aspetto che si stanno concentrando i principali players del mondo musicale digitale, primo fra tutti Jimmy Iovine, uno dei nomi che ancora contano della discografia mondiale, con il grande pregio di guardare un po' più in avanti rispetto agli altri, celebre talent scout, produttore discografico, audiofilo e presidente del gruppo di etichette Interscope, Geffen e A&M Records per conto di Universal Music, nonché colui che è riuscito a trasformare un paio di costosissime cuffie (le Beats di Dr.Dre) in un oggetto del desiderio e un brand di culto al pari dell'iPod.
Lo scorso anno Iovine ha acquistato il servizio di streaming MOG per creare qualcosa di veramente nuovo legato proprio al marchio di cuffie. In una delle sue rare interviste ha dichiarato "La musica online in abbonamento, oggi, è ancora culturalmente inadeguata. I servizi di streaming hanno bisogno di sensazioni, hanno bisogno di cultura. Quel che la Apple con iTunes ha saputo fare per il mondo del download è molto, molto buono. Ma la musica in abbonamento ha ancora un grosso buco da colmare, e al momento non è soddisfacente” Continua Iovine anticipando il servizio che sta implementando insieme al suo sodale, il rapper Dr.Dre, e a Trent Reznor, leader dei Nine Nich Nails e premio Oscar per la colonna sonora di “The Social Network”. Continua Jimmy Iovine “C'è un oceano di musica là fuori, che nessuno si cura di selezionare e aggregare. Sto lavorando a una soluzione umana accanto a quella matematica, perché questa da sola non funziona". Accanto alla quantità e al vastissimo repertorio, tipico dei servizi streaming online, si affiancheranno migliaia di playlist curate da vari professionisti (dj, musicisti, produttori, influencers). Inoltre il know-how sviluppato grazie alla piattaforma tecnologica consentirà agli artisti di avere migliori informazioni sul profilo sociodemografico dei fan e ascoltatori. In pratica quello che ha in mente Iovine è il miglior record store globale indipendente mai esistito prima e che, per sua natura, non ha nessuna intenzione di distruggere tutto quel patrimonio che il prossimo sabato gli appassionati di musica celebreranno.

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