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Friday, March 31, 2006

 
CONSIGLI A LAPO

L'arte del packaging ovvero come fare della confezione l'elemento (più) importante del prodotto.


Il Foglio - 31 Marzo 2006


Da qualche settimana circola su internet uno strepitoso filmato. Nel video s’inscena la bizzarra ipotesi che l’ideazione del packaging dell’iPod Apple venga affidata al marketing della rivale Microsoft. Così, in mano agli uomini di Bill Gates, la confezione dell’iPod - dominata dal bianco candido, da poche essenziali informazioni, da foto in bianco e nero e da nessun’altro marchio che non sia la mela morsicata - viene letteralmente invasa da simboli di copyright, da mille brand e istruzioni superflue, trasformandola in un delirio semantico.
Questo breve filmato - peraltro creato da un dipendente Microsoft - spiega, meglio di qualsiasi altra analisi comparata di management, la differenza sostanziale nel modo di intendere il marketing delle due aziende principali dell’informatica. Del resto il package non rappresenta più il semplice imballaggio del prodotto, ma è diventato un vero e proprio ‘media’ di fondamentale importanza: l’unico che comunica direttamente dallo scaffale, cioè il luogo dove realmente il consumatore sceglie cosa acquistare. Se prima l’involucro serviva semplicemente a far arrivare un oggetto nel modo più pratico e comodo fino alle mani dell'acquirente, oggi la “scatola” diventa fondamentale nell'acquisto, quasi quanto l'oggetto e addirittura può diventare essa stessa il vero e proprio oggetto, l’essenza del brand. I casi sono molti e coinvolgono ogni categoria merceologica: dalla sensuale bottiglietta di vetro della Coca-Cola alle scatole di latta dei biscotti Mellin (usati poi intelligentemente da Elio Fiorucci negli anni Ottanta come confezione per le proprie t-shirts), dall’involucro “testuale” dei Baci Perugina all’utile manico dell’appretto Merito.
Oltre all’aspetto funzionale il package deve privilegiare anche l’aspetto simbolico, estetico e, soprattutto, polisensoriale che permette di coinvolgere non solo la dimensione visiva ma anche quella tattile, uditiva e olfattiva. In questo senso le confezioni dei profumi riescono perfettamente a comunicare, attraverso le forme e i materiali usati, l’essenza e l’immaginario che il produttore del profumo ha voluto evocare.
Da qualche tempo, assieme alla componente estetica del packaging, sta emergendo anche quella etica, legata cioè a concetti di sicurezza, responsabilità e sensibilità nei confronti dell’ambiente e della salute: con il crescere della consapevolezza dei problemi ambientali, sono risultate inutili le enormi confezioni di materiale non riciclabile, e così le aziende hanno preferito utilizzare package più piccoli, biodegradabili, riciclabili o riutilizzabili. La tendenza al riutilizzo non è nuova - basti pensare alle sopraccitate scatole di latta oppure ai bicchieri della Nutella - ma, accanto a questa, per un’esasperazione del concetto del “packaging no frills” (confezione senza fronzoli) è presente oggi sul mercato anche una sorta di sottovalutazione del pack stesso e di un ritorno al passato, quando esso era ridotto a pura funzione: per esempio gli imballi della catena giapponese Muji importati in occidente sono scritti volutamente con gli ideogrammi, quasi a negare anche la minima componente di comunicazione.

Dall’ultima conferenza sul packaging organizzata da Somedia è infine emersa una nuova direzione evolutiva sostanzialmente contraria a quella del “no frills”, ovvero la tendenza ad una esasperata “materializzazione del pack”. Nell’ambito dei servizi immateriali e dell’economia digitale, per esempio, esistono prodotti che hanno richiesto un packaging al di là del bisogno funzionale, basti pensare ai grossi pack cubici - volutamente inutili - degli abbonamenti Adsl (Telecom Alice su tutti) che contengono solo un cd, una presa telefonica e uno scarno libretto delle istruzioni. Dall’altra parte esistono dei pack che offrono un ulteriore valore aggiunto al prodotto, si pensi alla rivista letteraria McSweeney, ideata da un gruppo di intellettuali che ruotano intorno allo scrittore Dave Eggers, che ogni bimestre esce sempre in formati creativi, improbabili ma desiderabili (carta da imbalaggio, gomma gonfiabile ecc..). Si pensa che nel futuro il packaging dovrà sempre più mantenere una propria autonomia rispetto al prodotto, e puntare ad un allungamento del suo ciclo di vita attraverso l’impiego in utilizzi alternativi e nel rispetto dell’ambiente.
Un esempio-limite: la eco-bara, radicale prototipo di packaging - il nostro ultimo e definitivo packaging - costruito con materiali biodegradabili che scompare non appena svolta la sua funzione primaria.

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