: articoli tratti da Il Foglio, GQ, LINK Magazine, Rolling Stone, AD, Vanity Fair e Style Magazine del Corriere della Sera.
CONSIGLI A LAPO - 13
L'autocertificazione del lusso e altri piccoli trucchi per far sentire coccolato il consumatore.
Il Foglio - Martedi 8 Febbraio
Lusso di massa. Detto così può sembrare il titolo di copertina di un newsmagazine italiano oppure la frase ad effetto di qualche pubblicitario in crisi creativa. Invece pare essere una delle tendenze di mercato più interessanti dei prossimi anni. Alcuni segnali si possono osservare fin da ora: a Novembre Karl Lagerfeld, leggendario stilista della haute couture nonché direttore creativo di Chanel, ha firmato una collezione di vestiti e di accessori in edizione limitata per la popolare catena di abbigliamento H&M (poco importa se la collaborazione è terminata poche settimane fa per una questione di taglie: il trend è stato comunque lanciato); su riviste di prestigio come Vogue o Harpers & Queen si possono trovare le inserzioni pubblicitarie della catena a basso prezzo Top Shop in mezzo a quelle di Hermes e Tiffany; Jaguar per la prima volta ha lanciato, anche in Italia, una massiccia campagna promozionale sui media in cui si evidenziano le facilitazioni di pagamento e di finanziamento; infine non c’è gruppo della grande distribuzione o catena alberghiera economica che non abbia una Prestige, V.I.P. o Premium Card che consente ai possessori di godere privilegi e servizi personalizzati.
Nei comportamenti di acquisto e, di conseguenza, nelle politiche commerciali e di marketing aziendale si stanno verificando due fenomeni ben distinti e, apparentemente, di segno opposto: da una parte (trading up) c’è la consapevolezza del fatto che le persone sono disposte a pagare un significativo prezzo premium (elevato ma non proibitivo, mediamente il 30-40% più del prezzo medio) per i beni e servizi a cui attribuiscono importanza a livello emotivo e che apportano benefici in termini di qualità e rendimento. Insomma, si spende di più per essere pienamente appagati e consolati.
Dall’altra (trading down) c’è la pratica di mixare, specialmente nella moda e nell’arredamento, articoli di lusso a prodotti più economici che, per unicità e personalità, garantiscono livello di status e appeal spesso superiori ai costosissimi marchi di lusso: basti pensare alla "febbre" che si è scatenata negli Stati Uniti per le borse Coach o per gli stivaletti Ugg, prodotti economicamente accessibili ma fortemente desiderabili e cool.
C’è da dire che è proprio il concetto di lusso negli ultimi anni ad essere profondamente mutato: in molti, dagli stilisti ai politici, dai sociologi ai parrucchieri delle dive, si sono cimentati nel fornire nuove definizioni di “lusso”: qui ci piace citare quella di Pamela Danziger che ha anche scritto un libro sull’argomento (Let Them Eat Cake, Marketing Luxury to the Masses - Ed. Dearborn Trade).
Sostiene la Danziger "Prima il bene di lusso veniva spiegato basandosi esclusivamente sul prodotto. Adesso la definizione non è più fondata sulle caratteristiche o sul prezzo bensì sull’approccio, sull’esperienza, cioè su come quel bene e quel servizio vengono vissuti". Ed ancora "Dovremmo iniziare a pensare al lusso come verbo. Il lusso è parola attiva, non è più qualcosa che viene pensato, prodotto e venduto sul mercato. Quello che ora conta è il sensuale, meraviglioso feeling che le persone cercano da un prodotto di lusso."
Affascinante. Rivoluzionario, in un certo senso. Sembrerebbe quindi che non sia più il mercato a decidere cosa è di lusso e cosa no, ma è ogni singola persona ad attribuire questo valore. Ma forse non è proprio cosi. Forse le politiche di marketing possono influenzare, e a volte confondere il giudizio.
Questo processo di democratizzazione ed "autocertificazione" del lusso consente infatti a tutte le aziende di appropriarsi delle regole, dei codici e del marketing mix di quel mondo che, fino a poco tempo fa, era appannaggio di un stretta cerchia di privilegiati.
Ed ecco che, una volta accertato il buon livello di qualità e di prestazioni del prodotto che viene venduto, basta poco per dare l’impressione che questo sia di lusso: si sa che una percezione di rarità può dare l’idea al consumatore finale di poter far parte di un club, di una élite e spesso una parola chiave e concetti come "edizione limitata" o "tre anni di attesa per questa borsa", "tailor made" o "personalizzato" riescono a dare subito una sensazione dell’esperienza del lusso.
I primi ad avere capito che il linguaggio di differenziazione e di individualismo sono vincenti per offrire al consumatore abbiente una soluzione alternativa al prodotto di lusso con un miglior rapporto qualità-prezzo e ,al contempo, per attrarre nuovi clienti "di massa", sono i marchi di abbigliamento e della moda.
Avanti i prossimi.